Staffe

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di Matteo Pelliti
Lapis #25  (sui monopiedi telescopici)

Ad un certo punto fu tutto un proliferare di queste stampellette: prima le avevano solo i cinesi in vacanza, ora tutti. Fu evidente, così, il nostro crudele limite evoluzionistico: abbiamo braccia ancora troppo corte per i selfie. Queste staffe sono interessanti, a mio avviso, per due ragioni: a) suppliscono con una tecnologia preistorica ad un limite antropometrico; b) rivelano la necessità di una distanza maggiore tra osservatore e osservato, tra occhio e mondo, nel momento in cui si voglia prendere una maggiore porzione di mondo. La staffa allontana da noi lo smartphone, la macchina fotografica, la telecamera per aumentarne il campo di vista. I pensieri grandangolari sono ancora poco diffusi, ma torna prepotente la necessità di includere spazio nella capacità dell’occhio vitreo dei nostri telefoni. Per i quotidiani è moda.

Pronta era già la parola, anodizzata essa stessa: Selfie Stick. In queste prolunghe low-tech rivive, immutato, l’antico bastone d’acciaio col quale, ad ogni cambio di stagione, si arpionavano i cappotti invernali. Oppure la prolunga che faceva insinuare, sotto i sofà e le credenze, la testa mobile dei nostri aspirapolvere. La frizione tra antico (la clava, l’osso di Odissea nello Spazio) e modernissimo (l’iPhone) è il destino del contemporaneo. Bastoni per non vedenti capovolti, puntati al cielo e non sul bordo del marciapiedi, queste staffe realizzano il sogno d’elevare la visione oltre la  “siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. Finalmente non abbiamo più bisogno delle spalle dei giganti sui cui ergerci. Cheese!

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