OSTINATO

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di Matteo Pelliti
Lapis #26  (sulla forma musicale del racconto breve in Luca Ricci)

Questo Lapis parla d’ostinazione e musica e, per farlo, prende a pretesto un’antologia di racconti uscita di recente. Ci sono scrittori che fanno dell’ostinazione una cifra della propria scrittura, portando in piena luce la scrittura stessa come forma di ostinazione. Non tanto o non solo di temi, quanto di strutture, di tempi, di ritmi. Oggi l’aspetto ostinato e geometrico dello scrivere si trova, per me, più evidentemente espresso in poesia e nelle forme del racconto breve. Le forme brevi della scrittura mi appaiono come quelle più flessibili, e per questo resistenti, nel reggere gli shock termici del passaggio dalla carta al digitale, dal digitale all’oralità, dall’oralità alla stampa e, di nuovo, dalla stampa al web. Così, del volume  “Fantasmi dell’aldiquà”  di Luca Ricci (pubblicato da La scuola di Pitagora editrice, Napoli, nella collana Narrazioni) m’interessa soprattutto la nota dell’autore (pp. 105-106) che chiude il libro. Qui Ricci chiarisce le coordinate geografiche delle precedenti pubblicazioni dei singoli racconti, un’autoantologia critica che funziona da mappa: oltre a tre racconti inediti si trovano riedizioni di testi apparsi su Nazione Indiana (dove dell’antologia si troverà ora una bella recensione di Ornella Tajani  che, in modo circolare, rimanda ai racconti che proprio su quel lit-blog vennero ospitati in prima battuta) e versioni a stampa di testi presentati in letture pubbliche, reading teatrali, lezioni, trasmisisoni radiofoniche. La dimensione della lettura ad alta voce (una portabilità interna alla forma “racconto” che ne fa un vero e proprio podcast su carta!) trova corrispondenza nella natura musicale di queste composizioni, in una vocazione “sonora” che le accompagna naturalmente.

Ricci, infatti, è uno scrittore geometrico e musicale, i suoi racconti sono (quasi) sempre quadripartiti come una sonata per pianoforte (sui legami tra la scrittura di Ricci e la letteratura pianistica rimando al suo  “Mabel dice sì”, e agli extra di corredo al racconto pubblicati sul sito dell’editore successivamente, come chiave d’interpretazione dei suoi modelli compositivi). I fantasmi dell’aldiqua funzionano, allora, come una specie di manuale d’armonia, schemi da costruzione del racconto breve, sono un testo didattico, cartamodello. Per chi vuole scrivere: armarsi di forbici e proseguire da sé. La concezione modulare di Ricci (“Rispetto a questi racconti ho una concezione modulare, volendo potrei assemblare tanti libri diversi quante sono le possibili combinazioni tra i vari racconti, e tutti avrebbero un senso”, dice l’autore in questa intervista su Cattedrale, benemerito portale/osservatorio sul racconto) mi appare fortemente musicale. “Ostinato”, in effetti, è anche una indicazione musicale che si adatta perfettamente a descrivere lo stile di questi racconti: “Breve figura (un motivo, un inciso, un disegno d’accompagnamento) ripetuta ad oltranza senza modificarne altezza e ritmo”. Così, vedo nei racconti dei “Fantasmi”, nella metodica quadripartizione numerata che li compongono, proprio questo tipo d’’esposizione musicale.

Per questo non farò qui un’analisi dei temi, delle figurine di padri, mogli, mariti, cognati, figli che Ricci fa muovere come molecole, reagenti chimici, dentro le sue costruzioni. Ci sono molte pagine di solidissima critica, ormai, su questa cifra ricciana che ne raccontano le peculiarità, la riconoscibilità di voce (vedi anche la lucida postfazione di Umbero Silva al volume in oggetto), così come l’elemento perturbante del nostro sempre possibile rispecchiarci in esse  (noi, lettori, i veri fantasmi dell’aldiquà, aldiquà della pagina, o dello schermo) e ne scrissi già nel 2006 (era un articolo su Vibrisse, che però non è più raggiungibile, e allora lo trovate qui e, secondo me, rimane una buona fenomenologia del Ricci del 2006 e anche un po’ di quello posteriore.

1. Esposizione del tema; 2. Esposizione del secondo tema; 3. Sviluppo; 4. Coda. Fantasmi dell’aldiquà dovrebbe diventare un libro di testo e, se insegnassi in qualche Università, o in qualche Conservatorio, lo adotterei.

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