IN PRINCIPIO

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di Matteo Pelliti

Lapis #21 (sulla ricerca della parola originaria)

Da poco è disponibile un’applicazione di Twitter (questa) – pubblicata in occasione dell’ottavo compleanno della piattaforma – che consente di recuperare il primo “cinguettio” emesso da qualsiasi account. Il tweet originario, #FirstTweet, il vagito, ha un interesse e un fascino particolari perché sembrerebbe condensare implicitamente il carattere del suo estensore nel momento in cui inaugura un nuovo spazio espressivo: la prima emissione come pura emissione non ancora contaminata dalla prassi, dalle metaprassi, del mezzo. Il mito dell’inizio. O meglio, l’inizio come mito. Subito parte la ricerca, la collezione di primi tweet di personaggi famosi, cui si sono dedicate molte testate on line col gusto di un gossip del passato prossimo, una specie d’archeologia del derma: collezioniamo scaglie scadute di testo, cadute, per prime. Il reliquiario contemporaneo non si nutre più di tibie, denti, femori ma di testualità: sta nei documenti intangibili, nelle nostre lallazioni digitali.

Il campionario è molto vario e, piuttosto che citare gli esempi “vip”, astraggo all’ingrosso: 1) nei primi tweet mancano quasi sempre e del tutto gli hashtag (quegli sconosciuti); 2) le frasi si troncano spesso prima dei 140 caratteri, unità di misura del senso non ancora introiettata dall’utilizzatore neofita; 3) il tweet appare epigrammatico e sospeso tra il tentativo di connotare l’ipercontingente (qualcosa di ancora più prossimo del “hic et nunc”) e la massima generalissima; 4) il tweet originario sembra risuonare a vuoto, con l’eco di un atrio ancora sgombro dai follower; 5) il tweet originario spesso descrive se stesso, denuncia la propria natura esplorativa, di “prova tecnica di trasmissione”, e ingressiva; 6) un inizio che si lega, immediatamente per alcuni, al tema della verificazione identitaria (sono proprio io, vip, che sto scrivendo questo primo tweet e questo “qui e ora” si allontana da me, come particola di me, scaglia, frammento, in uno spazio non ancora ben definito).

Il fatto che l’applicazione estragga il primo tweet da qualsiasi account è un riflesso del mito dell’inizio: il flusso di autonarrazioni presentificate è proiettato come potenzialmente infinito ma a partire da un punto aureo e mitico, appunto: il primo tweet, come il primo post, come la Numero Uno di Zio Paperone.  Un punto più o meno lontano nell’arco temporale degli ultimi otto anni.  Così che l’evenire del primo tweet rende diversi i neofiti del 2006 da quelli degli anni successivi, come se i primi tweet prodotti negli ultimi anni portassero in sé già una qualche forma di sapienza espressiva “inconscia”, implicita (per evoluzionismo di specie?) rispetto ai milioni di primi tweet pre-emessi, pre-esistenti e primitivi.

Il primo è sempre più importante del secondo, ed è pari solo all’ultimo, se quello diviene poi tale in assoluto (R.I.P.). Il primo tweet apre una serie, svita un rubinetto sillabico che moltiplicherà, per migliaia e migliaia di volte, l’unità di misura dei 140 caratteri ormai antonomastica del mezzo. Serie che, dopo qualche centinana di elementi, non è più raccoglibile sotto uno sguardo unitario, né entro uno “stile”. Il primo tweet prelude, promette, sconfessa, mantiene, contiene la serie infinita dei tweet fratelli e successivi. Il tweet originario non è mai originale, ma il suo primato ordinale gli proietta addosso una forma di “significatività” posteriore. Così, eventualmente, ognuno può rileggersi e provare la breve libertà illusoria di non riconoscersi.

 

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