LONTANO DA GOOGLE

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di Matteo Pelliti

Lapis #18 (sul diritto all’oblio in vita)

Caro professor Magris,
le scrivo in riferimento al suo articolo apparso sul Corriere della Sera il 6 febbraio 2014 e titolato, nella versione on line, Su Facebook a mia insaputa. Non ci sto (vedi qui). Il titolista ha condensato, per inciso, due espressioni giornalisticamente consumate, e di derivazione concettuale politica: l’insaputismo di scajolana origine, e il noncistoismo di scalfariana e presidenziale memoria. Devo dirle, preliminarmente, che sono un suo affezionato lettore fin dai tempi in cui il mio maestro (volontario e involontario), il compianto prof. Aldo Giorgio Gargani, mi faceva frequentare le atmosfera permeate dalla stessa “nevrosi austrica” che circola nei suoi studi originari sul “mito asburgico”. Ora, saldato un debito di riconoscenza intellettuale e stima verso la sua opera, l’idea che mi sono fatto dell’editoriale che porta la sua firma è che sia un apocrifo, un falso Magris che cerca di imitare il vero Magris, sulla base di un precedente attacco da lei portato ad altre istituzioni totalizzanti e tiranniche (la Telecom) come ha ben ricostruito Guido Vitiello in una sua analisi sul doppio-Magris (vedi qui). Vorrei concentrarmi, però, piuttosto, su quello che ritengo il cuore problematico, e contraddittorio, del suo articolo; anche perché, sulle prime, mi sono sentito pure responsabile della sua irritazione, avendo io creato (ebbene, sì) nell’aprile scorso, proprio un’estemporanea pagina facebook – a metà strada tra la goliardia e l’omaggio sincero – per sostenere l’ipotetica e simbolica sua candidatura alla Presidenza della Repubblica (vedi qui), che in quei giorni vedeva confrontarsi da un lato RO-DO-TA’ e, dall’altro, il bispresidenzialismo di Napolitano. Il centro del suo argomento è, per me, questo (soprassiedo sul  lapsus dell’articolo della Costituzione che lei cita, il 20 al posto del 18…) e lo trascrivo:

<Non ho nulla di cui lamentarmi; non c’è stato alcun uso scorretto di quella falsificazione, nessun cattivo scherzo. Forse chi l’ha fatto pensava di farmi un regalo, come si regala un abbonamento alla stagione lirica. Anche in questo caso, tuttavia, sarebbe bene informarsi se il beneficiario è un amante dell’opera o del rap. Ma credo si sia trattato di un richiamo all’ordine, di un’iscrizione d’ufficio di qualcuno colpevolmente riluttante al dovere di prendere la tessera. Rivendico il diritto alla mia disabilità digitale; i problemi che essa può crearmi nel mio lavoro sono fatti miei, e non ho bisogno di generosi soccorritori simili a quei boyscout della barzelletta che aiutano una vecchietta ad attraversare la strada, anche se la vecchietta non aveva alcuna intenzione di attraversarla.>

Nel tempo che ha eletto il “fake” a suo emblema, il candore di questo suo doppio scrivente  – che scrive lamentandosi e affermando al contempo che nulla ha di cui lamentarsi – commuove. Anche perché, di fatto, non solo lei non si lamenta di alcun uso scorretto di una identità, la sua, che, a rigor di logica, non è stata oggetto di alcuna falsificazione. La sua “presenza” sul popolare social network è, infatti, affidata ad una pagina (questa) generata automaticamente a partire dalle informazioni presenti su Wikipedia (qui). Sul tema del controllo dei contenuti di Wikipedia, sul loro rapporto col mondo (sul rapporto tra “Mondo” ed “Enciclopedia”,) così come sul tema del “diritto all’oblio” non ho qui lo spazio per intervenire e rimando, direttamente, a Google. Allora la vera domanda sarebbe: si può stare lontani da Google? Qual è il senso, la portata, il confine della “disabilità digitale” che lei rivendica? Cosa significa oggi “essere presenti” in rete? Perché Wikipedia sì e Facebook no? La sua pagina wikipedica è stata modificata, per coincidenza forse, proprio nel giorno dell’uscita del suo editoriale, il 6 febbraio. E la bellezza filologica di questi strumenti, la sua “trasparenza” (proprio il contrario dell’opacità…) è che si può vedere sempre autore e oggetto della modifica. In questo caso dettagli di poco conto (vedi la cronologia delle modifiche), curiosità. E’ legittimo rivendicare il controllo della veridicità delle informazioni attinenti alla propria identità in rete. Ma lo stesso può dirsi per la presenza in rete di un’identità che è già ampiamente pubblica?

Forse lei si riferiva, invece, a un profilo a nome Claudio Magris (vedi qui) aperto il 19 giugno 2013, che conta attualmente 9 amici? Per questo profilo, questo sì un vero “fake”, penso se ne debba attribuire la paternità alla frustrazione di  qualche ragazzo o ragazza alle prese con la traccia di Italiano distribuita, proprio in quello stesso giorno, all’esame di maturità e tratta dal suo “L’infinito viaggiare” (vedi “Claudio Magris chi?), circostanza che lei commentò con l’ironia e l’eleganza che sono proprie del suo doppio autentico (““Sono ovviamente onorato di questa scelta. Ora chiedo l’indulgenza degli studenti, e spero non mi maledicano mandandomi a quel paese”) e che mancano  – mi pare – nell’editoriale del Corriere. Nessun richiamo all’ordine “digitale” di una massificata e massificante presenza in rete, quindi.  Professor Magris, le scrivo anche per assicurarle  che provvederò a rimuovere prontamente – se lei lo vorrà – la pagina simbolica “Claudio Magris Presidente della Repubblica”, o a riprenderne l’aggiornamento con maggiore creatività, magari in occasione della prossima elezione del Capo dello Stato, nel caso lei cambiasse idea o volesse attraversare la strada.
Un cordiale saluto

 

*Il titolo “Lontano da Google” è di Simone Ticciati

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