Scalfari, il Montanelli di Renzi

il bureau - marco viviani - il pinguino di herzog

Con una efficace (anche se un po’ abusata) metafora eduardiana, Eugenio Scalfari ha messo tutti in fila ieri con un articolo di ottima fattura, che potrebbe capire anche un bambino. Nel suo consueto editoriale domenicale, il fondatore di Repubblica ha preso spunto dall’incontro di Matteo Renzi coi ministri economici dei paesi membri per spiegare come il premier italiano abbia ricevuto un secco no alla sua sbandierata policy, che avrebbe voluto anteporre la flessibilità alle riforme strutturali sulla base di una supposta fiducia riconquistata a Bruxelles. Le cose non stanno così, ovviamente.

Come spesso capita con Scalfari, l’articolo supera i confini della cronaca per entrare in quelli della filosofia politica, occasione per il novantenne di sciorinare un po’ di personaggi da lui conosciuti e frequentati quando la maggior parte dei lettori non erano neanche nati. Anche in questo caso, però, l’analisi è lucida:

Nella Dc, Alcide De Gasperi era un politico con l’ideologia cattolico-liberale; Fanfani aveva un’ideologia cattolico-sociale; Moro un’ideologia cattolico-democratica. Andreotti non era ideologo, come ai suoi tempi Talleyrand. Voleva il potere subito e oggi. Con la destra, con i socialisti, con il Pci, con la famiglia Bontade, contro la famiglia Bontade. Senza passato e senza futuro. Ai tempi nostri Berlusconi è stato la stessa cosa.

Questa critica al presidente del Consiglio, oltre ad essere pesante, nulla ha a che vedere con la retorica spinta di un Travaglio, né coi giochi di posizionamento delle testate conservatrici. Proviene da un giornalista di grande esperienza, praticamente intoccabile, che si rivolge al medesimo elettorato, ed era ora che dalle pagine un minimo più credibili (non che ci voglia molto) di un quotidiano di riferimento per quell’area se ne parlasse con franchezza. È però anche una cattiva notizia.

Se avesse ragione – cioé se Renzi si dimostrasse omologo a sinistra del “presentismo” berlusconiano a destra – sarebbe la seconda volta. Già, più passa il tempo e più Scalfari e i suoi editoriali prima vibratamente anti-renziani, poi attendisti, oggi quasi rassegnati, ricordano Indro Montanelli, quello che nel 1994, praticamente da solo e a 85 anni suonati, provò a mettere all’erta l’elettorato di destra nei confronti del suo ex editore Silvio Berlusconi. Il paragone finisce qui, Montanelli pagò carissima quella presa di posizione a livello professionale e umano, mentre Scalfari al massimo si fa dare del rimbambito da qualche neo-renziano di turno che per banalità di argomentazioni (vd. commenti online) meriterebbe soltanto di andarsene a montar tende coi boy scout.

Il quesito che tutti dovremmo porci è un altro: perché in Italia soltanto i giornalisti ultra ottuagenari possono permettersi di prendersela seriamente – e non per posizionamento – con l’ennesima nuova passione politica degli italiani? E cosa c’è di più post ideologico del fare in questo modo il proprio mestiere di giornalista, piuttosto che titolando cavolate sul PD ogni giorno come se non ci fosse un domani, finendo proprio con l’alimentare quella dimensione mono-temporale della quale i politici più mediatici sanno approfittare?

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