STACCARE LA SPINA

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di Matteo Pelliti

Lapis #01

Nel passaggio agli usi figurati vi è spesso una perdita, paradossalmente, di espressività del linguaggio. Quando ero bambino “staccare la spina” indicava il gesto di staccare una spina di corrente, da un piccolo elettrodomestico, un frullatore, un aspirapolvere. L’uso estensivo e figurato di “staccare la spina” nel linguaggio dei media (che non è il “linguaggio comune” ma che spesso lo inquina) – dalla politica alla medicina – è uno di quei malvezzi che fanno allergia – almeno, a me – sulla schiena del lessico. L’ambito semantico nel quale sembra riproporsi con più frequenza oggi l’espressione è quello della cronaca politica: – Berlusconi è deciso a rompere: “Ormai va staccata la spina a Letta” (La Repubblica on line, Francesco Bei, 4 settembre 2013); mentre il tema in cui significato letterale e figurato sembrano coincidere in modo drammatico rimane quello del “fine vita”: (-Cassazione, nuovo processo per Eluana. Ecco quando si può staccare la spina – La Repubblica on line, 16 ottobre 2007)

La metafora ha un potere accresciuto dall’odierna ricerca spasmodica di una “presa” cui attaccare la spina che ricaricherà i nostri mille device mobili, la cui mobilità e autonomia non è infinita e rimane tutt’altro che wireless proprio nell’atto di “ricaricarsi”. Le colonnine in aeroporto e noi tutti intorno, devoti ai nuovi piccoli totem, come in fleboclisi, per succhiare due-tre minuti di elettricità da trasformare in chat, sms, status inutili.

Staccare a attaccare la spina sono diventate, linguisticamente, le immagini sintetiche di una dualità Vita-Morte ridotta a gadget, un’intera teologia ridotta a slang portatile e aggravata da una metafora meccanicista non più percepita. “Stacchi la spina” se vai in vacanza, se muori, se fai cadere un governo, se fai finire qualsiasi qualcosa. La cosalità, passata dagli oggetti alle persone, che ormai traspare negli usi linguistici.

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