Tutto molto bello: etichette indipendenti in fuga, e la musica che non c’è

il bureau - Bobi Raspati - Note Dolenti

di Bobi Raspati

Sabato 13 e domenica 14 settembre gravitano attorno a Bologna 500 anime tra musicisti, promotori e operatori del mercato della musica. E che si farà mai, direte voi, un festival? Nient’affatto, un torneo di calcetto. E cioè la quarta edizione di Tutto molto bello, torneo di calcetto per etichette indipendenti organizzato dalla locale Sfera Cubica. A mio avviso, un evento che rappresenta in maniera vivida i guai che affliggono l’Italia musicale, e che ci fa ripetere ancora una volta l’antico adagio: non ce la faremo mai.

Insomma, gli astri concedono gentili gli ultimi sussulti di un’estate avara, fa un caldo infame e il centro medievale è tutto un brulichio di corpi e di vita. Bologna è nostro malgrado una città trasformata, dedita ormai al fighettismo gastronomico più spinto, tra taglieri e tigelle, carpacci di polpo e formaggi di fossa, sangiovesi barricati e sovrapprezzi al cubo. Tutta avviluppata com’è al paradigma farinettiano, cooperativismo e controcultura non sembrano interessare più a nessuno. La sua storia, anche quella recente, gli street rave e i centri sociali, declina invece verso una pacificazione bonaria: niente antagonismo, per piacere, ché c’abbiamo da riempirci la panza.tamburelli

Non che la musica manchi, nel centro di Bologna. Ma non è che l’ennesimo intervento di decoro urbano, uno strumento per lo shopping, più che una cosa viva. Tra flautisti-pittori afoni e una cumbia ben suonata, messo da parte il buon Beppe Maniglia spopola un suonatore di padelle, che fatica a tenere il tempo ma soddisfa l’annosa domanda di freak del sabato pomeriggio. E i musicisti indipendenti, dove sono finiti gli indipendenti? Possibile che non ci sia un buco anche per loro, tra tante bancarelle?

Durante il decennio scorso, lo scienziato sociale Richard Florida pubblicava un libro tanto nauseabondo quanto influente, The Rise of the Creative Class, la nascita della classe creativa. Il libro sovvertiva la teoria cardine dello sviluppo urbano: non è il capitale a portare nelle nostre città la gente giusta, ma è al contrario la gente giusta, i creativi hipsteroni, a portare più opportunità per tutti, il capitale, lo sviluppo. Seppur fondata su un’analisi assai discutibile dal punto di vista metodologico, e decisamente ambigua nel suo portato politico, la tesi di Florida è negli anni assurta a credo indiscutibile – e soprattutto è stata capace di imporre normativamente le condizioni alle quali un’amministrazione comunale deve sottostare, se vuole sedere all’ameno tavolo della globalizzazione. Rendere la propria città creativa dunque, promuoverla come tal al fine di spianare la strada ai creativi, e di conseguenza accumulare mille asfissianti festival a sgomitare l’uno contro l’altro, e mezzo mondo assediato dalla logica dello spettacolo full-time, dell’evento permanente. Inutile dire che il guru Florida abbia parlato di industria della musica, e a più riprese, brandendo stolido lo slogan che una scena musicale fervida valga più di un polo petrolchimico. E Bologna? E gli indipendenti? Possibile che nessuno abbia fatto leggere Florida ai nostri governanti?

festivalSe la prima edizione di Tutto molto bello aveva avuto luogo nella piazza principale di Faenza, da qualche anno la cornice, non esattamente esaltante, è quella del dopolavoro ferroviaro, laddove ha sede il pur bel Locomotiv. Per chi non conosce la città, si tratta in soldoni della prima periferia bolognese, e non sorprende affatto che la fiumana del centro, sebbene assetata di intrattenimento aggratis, si tenga ben lontana dai nostri indipendenti. Lo spettacolo è poi desolante: il piatto forte è costituito dai due campi da calcetto, nei quali giovani e meno giovani mulinano scomposti zampette e pancioni, baffetti e piedini, ciuffi, pelate e riporti. E tale e quale alla Partita del cuore, seppur in chiave minoritaria e indipendente, si può osservare le prodezze dei nostri eroi, lì Biagio Antontonacci, qui Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale. Ai margini, uno sparuto pubblico fatto di fidanzate e amici cari. E tanto orgoglio nerd, bretelloni e Subbuteo, e il santino del povero Boskov.palchetto

E la musica? Beh, intanto c’è quella che cinquetta da una cassa appesa alla rete dei campetti, quasi ammutolita dai salamelecchi dei commentatori. E poi, alla pendice di una fila di bancarelle di panni giallognoli, a ridosso di un versante di panini biologici, nascosto da un muraglione di tanfo di fritto misto con sovrappezzo criminale, ecco che spunta un palco, con sopra qualche disgraziato a suonare in acustico, di fronte a un drappello di sfiniti ad appassire sotto uno spicchio di sole. Tutto molto bello? Mah. Poi ci sono i concerti alla sera, e c’è pure qualcosa nienta male, tipo i Fuzz Orchestra, accanto a roba tanto tremenda che manco mi va di nominare (tipo Nicolò Carnesi, mannaggia a lui). Ironicamente solo un banchetto vende dischi, le altre etichette manco ci provano.

Ma il talento per fare della bella roba ci sarà pure, in mezzo a questo stuolo di figuranti in calzoncini. E qualcosa di buono viene pure prodotto, alle nostre latitudini, e c’è pure chi tira avanti con coraggio e idee salde. Ma a chi giova un evento come Tutto molto bello? Di fronte a un pubblico così esiguo tanto fervore organizzativo stona, e viene il dubbio che l’intento sia solo quello di stringersi, di farsi compagnia e farsi coraggio. Siamo proprio sicuri che ci sia bisogno di un torneo di calcetto tra musicisti, e non invece di far sentire la propria musica a un pubblico nuovo e più ampio? E siamo sicuri che tutte le strade siano state battute? Siamo sicuri che la sola da percorrere sia quella della marginalità, della periferia e delle pacche sulle spalle? A me pare l’ennesima occasione persa.

 

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