il bureau - Bobi Raspati - Note Dolenti

Cave – Neverendless [Drag City, 2011]

di Bobi Raspati

Chissà cosa penserebbe dei chicaghesi Cave il buon Simon Reynolds, autore di una delle più lucide riflessioni riguardo alla nostalgia in musica. Dopo un periodo stoner sotto il marchio Warhammer 48k, i Cave sono da qualche anno approdati a una riscrittura apocrifa ma senza dubbio appassionata e ossequiosa dei canoni del krautrock (per i giovincelli, leggasi rock progressivo-psichedelico tedesco dei primi anni ‘70). Con gli album Hunt Like Devil (ancora molto rumoroso), Psychic Summer (con sentori angelicati di Oneida) e soprattutto l’EP Pure Moods, maggiormente equilibrato perchè conciso e compatto, si fa sempre più pervasivo l’innamoramento per il caro vecchio motorik (uno spedito battito in 4/4 percorso fino a dare le vertigini, marchio di fabbrica dei NEU! con radici nei Velvet Underground di White Light/White Heat e ramificazioni nel rock and roll nervoso dei Ramones) così come per gli intarsi melliflui e ipnotici di quei dischi là (più Harmonia che Faust, più Ash Ra Tempel che Can). In Neverendless (un omaggio alla crucca e seminale ‘Fur Immer’?) il quintetto riduce l’apporto della voce, ripulisce ulteriormente i timbri, affila la produzione e raddensa chilate di minimalismo, tra Reich e Riley ovviamente. L’apertura ‘W U J’ è la prima incalzante progressione in salsa motorik, condita da fuzz chitarristici e svolazzi di synth. La seguente ‘This Is The Best’ sono quattordici minuti di ripetizioni e iridescenze. La finale ‘O J’, altro motorik a rotta di collo, riavvolge ad libitum un paio di riff rotondi di organo. Non rivoluzionario ma nemmeno calligrafico, nonostante i pochi elementi messi in gioco il disco è un riuscito esercizio di equilibrio, particolarmente adatto ad ascolti reiterati e a lunghi viaggi in bicicletta (noi del Bureau tolleriamo i retrofili di buon gusto ma odiamo le automobili).

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