LA CABINA DI REGIA

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di Matteo Pelliti

Lapis  #09  (sulla regia)

Se vi è un’espressione che, più di ogni altra, arriva a ratificare il parto proverbiale, peraltro indolore, del topolino da parte della montagna in conclusione d’una qualsiasi complessa fase decisionale della vita pubblica italiana, ebbene quell”espressione è:  “Occorre una cabina di regia”. Quando i soggetti più diversi, pubblici, privati, enti locali e centrali, annaspano per anni nel dare concretezza a scelte allambiccate su leggi cavillose, contraddittorie quando non inutili, qualcuno rilascia una dichiarazione alla stampa col fare e col piglio di chi ha finalmente trovato la ricetta della pennicillina e la vuole donare al mondo: “Attiveremo una cabina di regia”. Una volta l’immagine evocava, nella mente dei più semplici, un’ampia stanza finestrata, analoga al ponte di comando d’una nave ed era parente, quell’immagine, della tradizionale “stanza dei bottoni” con la quale si è, per decenni, metaforizzato il Potere con la P maiuscola.  Mentre l’immagine della sala di comando della nave ha smesso, nel frattempo e purtroppo, di essere sinonimo di “responsabilità”, la vecchia “stanza dei bottoni” mantiene ancora un suo fascino: ci si aspetta che in una cabina di regia si conservi almeno la possibilità di agire su qualcuno dei “bottoni” della stanza, metafora anni Sessanta  – la Guerra Fredda? I calcolatori grandi come armadi? – ora non più in auge (sulla “stanza dei bottoni” confronta Paolo Nori, qui).

Con “cabina di regia” s’intende solitamente, oggi, un luogo decisionale, un “organismo”,  in cui più soggetti fanno convergere forze e competenze in maniera coordinata in vista della risoluzione di un problema o nella presa di una posizione. Solo posti in piedi in cabina di regia. Se il “regista” è il domatore/direttore felliniano, abituato e stupito insieme del potere immenso che la macchina del cinema gli dona, la “cabina” allarga il concetto di “regia” a una piccola comunità di “àristoi” che lì dentro hanno accesso, diritto d’ingresso, per meglio amministrare e coordinare poteri che, altrimenti, potrebbero entrare in conflitto tra loro.  In questo senso, la “cabina di regia” viene evocata anche come alternativa di un potere monocratico, vagamente dispotico, e come esempio di maggiore collegialità e pluralismo. D’altro canto, la sua stessa natura semantica evoca “trasmissione” (la cabina di regia televisiva), “democraticità” (la cabina elettorale), “riservatezza” (la cabina spogliatoio dello stabilimento balneare).

La cabina di regia è diventata il deus ex machina dell’italica indecisione a tutto, l’ultima carta da giocarsi nella partita della credibilità istituzionale perduta. Nessun gettone di presenza o compenso è dovuto a chi sta dentro una Cabina di Regia, ma rimborsi per trasferte e soggiorni, ove previsti, sì (vedi art. 6 di quanto citerò in seguito). Potrà sembrare demagogico e populista affermare ora, qui, che si può star quasi certi che  nessuna cabina di regia conduca mai a termine, dentro o fuori dalla cabina, l’alto compito risolutorio che le viene affidato. Non solo, ogni cabina di regia, per partenogenesi, può dare vita a sue figliazioni, sottogruppi, sottocabinette di regia, più piccoline (vedi, ad esempio, Decreto n. 75/2009 del MIUR, Art. 5 – La Cabina di regia può proporre la costituzione di ulteriori gruppi di lavoro, basati su specifiche esigenze, dei quali mantiene la funzione di coordinamento e indirizzo). L’Associazione Italiana Cabine di Regia (circa 8000 associati) è, a sua volta, diretta tramite una Cabina di Regia.

Per questo, quando negli atti del vostro Comune, della vostra Provincia, della vostra Regione, nei decreti d’urgenza di un Governo, nei siti dei Ministeri, nelle dichiarazioni dei partiti o dei sindacati, nei comunicati e nelle conferenze stampa trovate l’espressione “Cabina di Regia”, mettetevi l’anima in pace e sperate che qualche soluzione, fuor di cabina, si riesca prima o poi a trovare.

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