AUTOBOT

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di Matteo Pelliti

Lapis #08  (sull’autoparodia)

In questi giorni molti status di Facebook sono stati ottenuti tramite un’applicazione, What Would I say?, un generatore di frasi casuali costruite incollando pezzi di status precedentemente postati sul proprio profilo. Perché tanta diffusione? Perché è divertente. Si, ma, perché è divertente? Cosa ci affascina nel farci “bot” di noi stessi, nella nostra sorprendente autoprevedibilità casuale? Il precipitare, appunto, di casualità e tipicità? La parodia di noi stessi? Il “più vero del vero”? E cosa è “il vero” nella testualità forzosa del socialnet? Questi generatori di frasi funzionano un po’ come slot-machine del senso, così che, mettendocisi a giocare, ognuno va alla ricerca di un risultato sempre più convincente, seppur a volte  incongruo, o ironico o, appunto, autoparodistico. Il risultato, poi, verrà ricondiviso, e corredato da uno status, sul proprio profilo, in una circolarità che ha molto del gioco di specchi deformanti dei lunapark. Scelgo di condividere il testo causale che mi tipizza, pescandolo via via tra risultati diversi, quello che svela le mie idiosincrasie lessicali o concettuali, che rende riconoscibile come “mio” un collage di parole funzionali a parodizzarmi.

Ma come si misura la distanza tra “originale” e “parodia” nei testi che scriviamo per i nostri status? In teoria, solo l’estensore dello status può sapere se ciò che sta scrivendo è un testo autoparodistico rispetto allo stile, o al contenuto, dei propri status. Intenzionalità, quindi. (sugli usi possibili degli status rimando a un post di quatto anni fa, forse ancora valido).  La parodia funziona solo se, a partire da essa, è ancora e sempre riconoscibile il modello originale, il parodiato. E non se le due forme sono perfettamente coincidenti. Il bot dell’applicazione ottiene questo scopo perché automatizza il processo di sintesi, di collage casuale e ripropone un testo che, mancando di intenzionalità ma basandosi sulla pura casualità, ci svela.

Mostrare quanto siano prevedibili, monotematiche, ricorrenti le nostre autorappresentazioni tramite status è la risata effimera che offriamo a noi stessi e al pubblico dei nostri contatti. Risata che, nel giro di qualche ora, di qualche giorno, si può pure trasformare in ghigno di terrore: siamo il robot di noi stessi, di scritture sempre più, inconsapevolmente, automatiche, seriali, indistinguibili nel loro essere copia di copie, parodie involontarie. Intenzionalità, salvaci tu!

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