JIN-HAO, HAO-MAI: ANCHE I CENTRI COMMERCIALI PARLANO CINESE

il-bureau---inchiesta---centro-commerciale-cinese

di Marco Viviani

 

Un muro di zucche di ceramica o plastica attendono il visitatore appena entrato. E poi luci per gli addobbi, maschere, giocattoli. La festa pagana di Halloween potrà non piacere agli oratori cattolici, di certo il confucianesimo si guarda bene dall’importunare il rinomato senso degli affari cinese. Nel mercatone Jin Hao di Castelleone, in provincia di Cremona, uno dei sette della catena nata nel 2006 e che oggi copre 5000 mq tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, si trova tutto quel che ci si aspetta da questo nuovo genere di centro commerciale: moltissimi articoli per la casa e la persona, tutti a prezzi bassi. Pentolame, arnesi per il lavoro, materiale elettrico, detersivi, abbigliamento.

Nei reparti dei mercatoni e del centri commerciali cinesi sembra vigere soltanto una regola: tutto tranne l’alimentare e le cose troppo costose. Si nota però l’attenzione a non prestare il fianco a chi pensa che questi oggetti non rispondano ai requisiti minimi di sicurezza. I giocattoli hanno il bollino “giocattoli sicuri” e sono tutti prodotti tramite accordi di importazione con aziende nostrane od europee che li traducono in varie lingue e li distribuiscono ovunque nel mercato unico. Non c’è verso di trovarne uno che costi più di cinque euro, sono tanti e le mamme che devono stare attente al centesimo sanno che possono regalare un sorriso low cost ai loro bambini. L’abbigliamento ha etichette in italiano, i detersivi sono di marca, l’elettronica di consumo è sorprendente (tastiere flessibili, adattatori introvabili e utilissimi, router e device wi-fi a buon prezzo prodotti in Corea o Taiwan).

Anche in questo caso i tempi sono cambiati: il boicottaggio della Lega di due anni fa contro gli Hau-Mai, il discount più diffuso nel nord Italia, è un lontano ricordo. A nessuno importa sapere chi c’è dietro, conta solo cosa si trovano davanti i consumatori, che hanno imparato ad apprezzare questa catena i cui punti vendita stanno spuntando come funghi in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, da Milano fino a Parma, passando per Brescia, la città capoluogo amministrativo di queste srl nate nei primi anni duemila.

Di Chen Wenxu, il 35enne fondatore di Hao-Mai, questo piccolo impero economico da 70 mila mq e un milione di articoli diversi, non si può dire niente dato che è difficile persino trovare qualcuno che l’abbia incontrato di persona. Già, perché il silenzio è la trama di questa storia dei centri commerciali cinesi. Silenziosamente stanno conquistando fette di mercato al sistema cooperativo, che ormai fatalmente ci convive puntando su altri prodotti, sull’alimentare, su una diversa qualità ed esperienza; in silenzio stanno i dipendenti – tutti cinesi – che vi lavorano e ai quali è meglio non chiedere informazioni troppo complesse perché non le capiscono (ma quando le capiscono le risposte state certi saranno sempre precise e soddisfacenti). In silenzio stanno le amministrazioni comunali, che concedono i permessi e generalmente si guardano bene dal frapporsi perché hanno capito che la ricezione dei cittadini è positiva e questi centri non danno alcun problema. Il livello di compatibilità ambientale è completamente diverso rispetto al mutamento dei negozi nei centri storici.

Parlano invece i clienti di Jan-Hao, Hau-Mai, Hao-Mai, sempre più italiani (altro che stranieri) ridotti all’osso dalla crisi, che girano per gli scaffali e comprano la paccottiglia cinese di cui un tempo, chissà, forse avevano un po’ di raccapriccio. «Dobbiamo fare una festa», raccontano dei ragazzi entrati nel Jin-Hao di Orzinuovi, «e dieci metri di luci a tre euro dove le trovi?». «E se poi si incendiano», anticipa ironicamente uno di loro la domanda del giornalista, «la festa sarà ancora più trash». Molte le donne, che risparmiano parecchio sfruttando il tempo a disposizione: loro a casa, il marito in cassa, c’è poco da stare allegri e il megastore, il mercatone, il discount made by chinese, «può farti risparmiare anche 200 euro al mese», come racconta una mamma appena uscita dal camerino con una maglia per sé e una tuta per la bambina, la quale guarda con un certo stupore i lunghi abiti di raso nero e rosso appesi in alto. Si avvicina Capodanno. Quello occidentale, ma anche un po’ cinese.

Commenti

commenti

0 Comments

Leave a reply

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>