LA CRISI DEL COMMERCIO E IL BOOM DEL FRANCHISING

Il-Bureau-inchiesta---serial-shopping

di Alessio Dell’Anna

A Milano l’alta moda rifugge dai grandi spazi e si rifugia nella rocca del Quadrilatero, dove le carte di credito dei russi sfrusciano senza dare troppo nell’occhio di fronte a commesse che parlano la loro stessa lingua. Gli italiani, i milanesi, ciondolano con passo incerto fra San Babila e Via Torino verso i megastore dell’abbigliamento in franchising, dove sanno che probabilmente non troveranno nulla di quello che cercano, ma potranno comunque riempire la loro shopping bag con quattro o cinque cose pagate niente. H&M, Bershka, Zara, Alcott, Terranova, hanno già da tempo cementificato la loro presenza in tutti i maggiori centri urbani italiani, tranciando di netto la fascia media dei prodotti brandizzati, e qualitativamente migliori, che ormai in pochi si possono permettere. In sostituzione, mega discount della moda con prodotti di qualità spesso inferiore, ma economicamente più accessibili. Anche, e soprattutto, per i negozianti: i franchising comportano investimenti iniziali approssimativamente ridotti e rischi di management limitati; ci si affilia a marchi conosciuti, con strutture e concept di vendita consolidati, e la possibilità di un’assistenza e una formazione costante. In Italia, rispetto al franchising, l’abbigliamento rimane un settore trainante, terzo per fatturato, e ai primi posti nelle regioni per affiliati. Un sistema quasi impermeabile alla crisi, e che continua a giocare la parte del leone, dentro un mercato che rappresenta ormai l’1,2% del Pil, per un valore di oltre 23 miliardi di euro. Una colonizzazione che pare inarrestabile e che ha già impiegato 187mila dipendenti nei vari settori. La maggior parte sono uomini fra i 35 e i 45 anni, ma anche il numero delle donne imprenditrici sale. Molti lavorano al sud, che sorprendentemente pesa il 31,3 % nel sistema paese. Non solo, per alcune aziende è ormai diventato la fonte principale di introiti, come per Original Marines, ad esempio, che ci fa l’80% di fatturato. Insomma, non tutti i mali vengono per nuocere, nonostante il prezzo sia l’appiattimento della biodiversità commerciale di un centro urbano. Anche perché spesso alternativa non c’è. A Parma, per esempio, all’interno di un inquietante panorama con 88 esercizi sfitti per le vie del centro si sta lavorando ad un accordo con Assofranchising per ricercare realtà che potrebbero investirci e resuscitarlo dalla sua grigia sorte. Il franchising ha successo anche perché di fronte a sé trova lande desolate, e sopravvive con meno rischi quando qualsiasi altro tipo di investimento sarebbe quasi impossibile. I vecchi esercizi così spariscono lentamente, magari trovando rifugio nelle isole fittizie di qualche outlet di provincia, dove passare un pomeriggio di shopping prenatalizio con tutta la famiglia. Si sorseggia una tazza di cioccolata calda, in un bar anch’esso in franchising, facendo percorsi predeterminati a cui le città stanno sempre più assomigliando. Se il tempo passa e le scoperte cambiano, magari le prossime le faremo in un cassone di saldi Pull&Bear.
FONTE: “Rapporto Assofranchising Italia 2012 – Strutture, tendenze e scenari”

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