BOLZANO E I BAR DAGLI OCCHI A MANDORLA

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di Roberto Morelli

Impossibile che non salti all’occhio. Magari non la prima tazzina di caffè, ma la seconda, a Bolzano, si berrà di sicuro in un bar gestito da cittadini cinesi. Un’escalation, quella dell’acquisto di bar in una città che conta poco più di centomila abitanti, che ha fatto in modo che, ad esempio, nel 2011, su 507 cittadini cinesi residenti 150 di loro fossero i titolari di un bar. Quasi una persona su tre. Curioso anche il modo in cui le licenze commerciali sono passate di mano, dato che la maggior parte delle operazioni, come ammettono a mezza bocca gli ex titolari, si è conclusa favorevolmente di fronte a borse e valigie colme di contanti. Offerte generose, di fronte alle quali anche i baristi che hanno scelto di non vendere hanno vacillato. Pettegolezzi e voci di paese a parte, il tutto non ha mai dato adito a denunce o inchieste e quindi, fino a prova contraria, si è svolto nella legalità. Un cambiamento che ha destato però, proprio per il ruolo di aggregazione sociale che i bar hanno ancora nel nostro paese, qualche perplessità. Tutto passato, dopo poco.

Si resta sorpresi infatti, entrando in uno dei bar “cinesi” – colpevoli i pregiudizi, anche involontari, che talvolta si annidano nel subconscio – dalla cortesia del personale (cinese anch’esso), dalla professionalità, dalla qualità dell’esercizio: in generale alta. Tra un cappuccino, un caffè e una pasta i sorrisi e i vezzeggiamenti ai clienti si sprecano. I più scaltri, in una sorta di “operazione simpatia” portata forse all’eccesso, si sono anche ribattezzati con un nome tutto italiano, più facile da ricordare per la clientela e più familiare.

Idillio a parte le perplessità non mancano e meritano qualche riflessione. I bar cinesi, a differenza degli altri, chiudono raramente; se ci si volesse affidare solo alle proprie percezioni si direbbe quasi che non chiudano mai. La cosa risalta ancor più in un territorio, l’Alto Adige (e nella città di Bolzano), che molto più di altri ha saputo resistere ai ritmi forsennati e alienanti imposti agli esercizi commerciali altrove. La domenica mattina, a Bolzano, comprare pane e latte – e non solo – è un bel problema. È bello che sia un problema. I bar gestiti dai cinesi, la quasi totalità dei quali impiegano a tempo pieno familiari e parenti, non conoscono invece sosta alcuna.

Alle tutele contrattuali e sindacali, che impediscono di usare e sfruttare a piacimento i propri dipendenti – dando al commercio un volto ancora “umano” – i cinesi rispondono con un instancabile stacanovismo che è difficile connotare positivamente. Così come si fa fatica a considerare sano questo tipo di concorrenza, che mette sotto pressione gli altri esercizi e li spinge verso un concetto di lavoro e commercio come attività totalizzante della propria esistenza. Tesi avallata anche dai prezzi, che nei bar gestiti dai cinesi sono sempre più bassi degli altri. Bevendo il loro ottimo caffè, avendo fra le mani le loro fragranti paste, non è difficile capire che i motivi di tanta convenienza vanno cercati altrove.

Si continuerà sicuramente a bere l’ottimo caffè di “Laura”, consci che tazzina dopo tazzina, lentamente, cambia la natura e lo scopo stesso del commercio in un territorio. Un processo reversibile, o forse no. Non resta che sperare che la gioviale donna che ci sorride tutte le mattine dietro al bancone, oltre all’italianissimo nome che si è affibbiata, pensi anche, prima o poi, a un bel “gesto italiano”: che domenica prossima, all’alzare la serranda, preferisca una passeggiata.

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