Io non sorrido bene come Pisapia

Ridi che ne hai ben donde Italia mia

di Valentina Parasecolo

A Milano ci si arriva dalla provincia. Dell’Italia e di una parte di mondo. Ci arrivano immigrati per fare le modelle, il kebab, i calciatori, le prostitute e i soldi in generale. Ci arrivano i gay in fuga, le ambizioni ingombranti, gli artisti poveri, le valigie dei sogni, chi ha tanta immaginazione o forse troppo poca.
Ci sono arrivata anche io, come stagista, il 31 maggio. La sera prima i milanesi hanno festeggiato il loro nuovo sindaco in piazza Duomo.
Fuori dalla stazione centrale, il tassista mi ha detto che si vede che non vivo qui, perché i milanesi non sorridono così generosamente. Io sorrido in questo modo, è vero. Forse perché nel compiacimento trovo un sollievo alle insicurezze. Forse perché so che le fortune hanno bisogno di manifestarsi per non morire. I milanesi non sorridono. Perché «si sono dimenticati di cosa conta davvero», dice lui. E cosa conta davvero in qualche modo me lo fa vedere passando davanti a dei manifesti arancioni.

Li hanno attaccati nella notte, sono stati i sostenitori di Giuliano Pisapia. Il sindaco appena eletto sfila in una successione di poster. La sua faccia, deformata in un sorriso grande non tanto diverso dal mio, si alterna a uno slogan: “Milano Buon-giorno”. Il tassista li indica, mi dice che è stato bellissimo svegliarsi e trovare in giro per la città un saluto del genere. Lo fa sentire parte della sua comunità. Lo fa sentire in qualche modo importante.
La sera ho cenato in un ristorante con una persona a me cara e due suoi amici. La persona a me cara è un uomo venuto anche lui da una provincia, qualche anno fa. Anche lui è arrivato con aspettative e desideri che la bacchetta magica di Milano non ha trascurato di realizzare. Fino a un anno fa discutevamo spesso di politica. Lui si rifiutava di votare, non credeva né all’utilità della militanza, né dell’impegno, né di una coscienza politica che ti dà rabbia e gioia come fa un amore.

Quando parlavo di “società civile” storceva il naso come se stessi parlando di un’equazione di quarto grado.
Sia chiaro, ci intravedeva qualcosa di prezioso nel mio straparlare di diritti, libertà, costituzioni, democrazie, teorie e statistiche. Ma ne restava alla larga.
Mi diceva: «Mi si chiude la testa».
Allora pensavo: «La testa ti si chiude davanti a quello che non sei pronto a capire».
La persona a me cara il 30 maggio era in piazza Duomo a festeggiare, dopo una campagna di cui è stato parte attiva. Mi ha detto che aveva gli occhi lucidi in mezzo alla folla. Gli amici, di cui uno ancora con la spilla arancione al petto, aggiungeva particolari alla cronaca dell’evento. La persona a me cara ha ammesso di aver sentito di poter contare per la prima volta, che questo ha fatto la differenza. Il loro tono era appassionato, in modo autentico.

A quel punto ho realizzato che Pisapia deve avere un sorriso più convincente dei miei: io non sono stata capace neanche di farla votare per le regionali e ora la persona a me cara rimanda appuntamenti per tornare a casa «che mica posso perdermi il referendum!».
E allora ho pensato che forse è colpa di una psicosi collettiva. «Eravamo migliaia di persone. Non si è mai vista una cosa simile per un sindaco. Non è mai successa nella storia, capisci?». Di fronte al mio silenzio (ero alla disperata ricerca di dati che lo smentissero), mi ha incalzato: «Non è mai successa, no?!». Io gliel’ho data per buona, un po’ perché ero a corto di memoria, un po’ perché ero felice dell’entusiasmo di un ex disincantato. Felice né più né meno di ogni maestrina zelante e fallita che si rallegra del successo del suo peggiore ex alunno. Mentre cenavamo, abbiamo iniziato a parlare con due donne del tavolo accanto. Giovani e piacevoli. È successo spontaneamente e non ricordo neanche il perché. Milano, nelle parole del tassista e nell’immaginario, è grigia e finta, è alienata e piena di solitudini, al punto che un sorriso brilla come oro. Eppure non abbiamo fatto fatica a dimenticarci che eravamo degli sconosciuti gli uni per gli altri.

Una di loro ci ha chiesto: «Anche voi qui per festeggiare la vittoria?». E da lì sono partiti i “ma che bello, che emozione, che sensazione, finalmente”. “Finalmente che? – ho pensato io – Che fino a ieri non ve ne importava niente…”
Mi sono sentita di nuovo come un fanatico dell’indie quando il suo gruppo preferito e rigorosamente sconosciuto sfonda con una hit. Espropriata di un sentimento che ero abituata a sapere come di pochi.
A un certo punto una di loro ha chiesto: «Secondo voi che cosa posso fare perché tutto questo non finisca?».
Ho risposto io, non vedevo l’ora.

«Iscriviti a un partito».

Sapevo di aver tirato fuori un tabù. I partiti. Chi ha la tessera, in questo Paese, è un raccomandato, un corrotto o non ci sta tanto con la testa. Il partito è corporazione e corpo estraneo. Non è letto, e soprattutto non è usato, come strumento che legittimamente aggrega interessi. Non è, o almeno non è percepito, come quello che dovrebbe essere in ogni sistema democratico decente. Associarsi è insomma una macchia, non un orgoglio e questo la dice lunga sull’Italia.
Lei mi ha sorriso rassicurata, ingenua, pura a tal punto che mi sembrava di essere finita nel regno della Bella addormentata dopo l’incantesimo. E Pisapia, che fa tornare di moda anche iscriversi ai partiti, è il principe azzurro davanti al Paese assopito.

Memoria. All’indomani delle ultime amministrative della mia città, che hanno portato il centro-destra alla vittoria dopo sessanta anni, la piazza si era riempita di gente festante e non mancavano neanche le bandiere nere che in un cortocircuito storico ora simboleggiavano “la liberazione”. C’erano molti giovani, come ce ne erano a piazza Duomo. Quella sera, su un sito di informazione locale, una mamma si diceva felice perché ora i suoi figli a cena parlavano di politica.
La mia mi disse: «In una famiglia sana si parla di politica durante ogni cena».
Del resto, io il sorriso l’ho imparato da mia madre che, come Aristotele e molti altri, sa che ogni essere umano è calato nella sua comunità.
Come puoi pensare la tua felicità a partire dal tanto non conto, tanto non importa, tanto le scelte si fanno lassù e non qua? Come diventiamo quando ci convinciamo che la predeterminazione pesa più dell’azione?
Chiunque favorisca un sistema in cui la coscienza politica si sgretola danneggia in modo imperdonabile una delle cifre più preziose dell’uomo. Mina la sua forza di soggetto, mortifica la sua ricerca, ne umilia la volontà.

Ad ogni modo, dal taxi al ristorante, chi mi ha accolto in questa città ha riportato un aneddoto evidentemente importante: “Pisapia ieri sera ci ha detto che non dobbiamo abbandonarlo, che dobbiamo stargli vicino perché lavori al meglio”.
Chi era in piazza Duomo, chi ha appoggiato il candidato e non smette di supportare il sindaco si è sentito e si sente parte di qualcosa. Conosce o inizia ora a conoscere il proprio potere su quel qualcosa.
E allora che questa Italia fatta a pezzi scopra quanta fatica e quanto splendore ci sono dietro alle parole “società civile” anche se possono suonare difficili come un’equazione di quarto grado.

Buongiorno Milano.
Buongiorno Italia.

Commenti

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6 Comments

  1. Scott Parker giugno 23, 2011 Reply

    “Mi sono sentita di nuovo come un fanatico dell’indie quando il suo gruppo preferito e rigorosamente sconosciuto sfonda con una hit. Espropriata di un sentimento che ero abituata a sapere come di pochi.”

    Sono più che d’accordo, Vale! Faccio politica da una vita, e ora che mi avviavo a diventare un vecchio disilluso mi trovo davanti tutto questo entusiasmo di chi mentre io stavo a consegnare volantini stava al bar a dire che tanto-so-tutti-uguali. E non riesco ad accettarlo!

  2. Valentina giugno 23, 2011 Reply

    Eh, ma infatti è questa la sensazione diffusa tra chi la politica, più o meno, l’ha sempre masticata.
    “Ma come? Mi dicevi che ero un coglione!”
    Lo so, c’è solo da essere felici davanti a un risveglio democratico, ma se fosse una moda perché sarebbe doppiamente offensivo.

    • caramelleamare ottobre 7, 2011 Reply

      Bisogna dire che t’ho cresciuto bene, hai imparato la lezione perfettamente e l’hai fatta tua.

  3. caramelleamare ottobre 7, 2011 Reply

    Se non sbaglio questo, Para, è il tuo esordio in questo sito. Se è così meglio non potevi partire. Bello il pezzo, bello il sito, brava.

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