il bureau - Bobi Raspati - Note Dolenti

di Bobi Raspati

Brutta gente, oggi tiriamo le somme. Il 2011 è stato davvero più infame del 2010 in quanto a dischi e musichine? Torneranno i favolosi anni ’60 e i lumi del ’77? Risposte non ne tengo, ma di sicuro non è il caso di disperare. Album buoni e meno buoni, il problema sta tutto nel riuscire ad orientarsi.

Come si suol dire, viviamo tempi frenetici. Impossibile ascoltare una quota significativa di dischi – ne escono valanghe. Soprattutto è un mondo scomposto in infinite nicchie e specializzazioni, migliaia di etichette e tonnellate di autoproduzioni. Ovvio che è un mondo in rete, che ha nei blog la sua più immediata fisicità. Anche la critica prova dunque a essere puntiforme. Poi però finisce che si parla quasi sempre degli stessi e a camparci sono in pochi, manco i migliori. E così tanto fermento, ma anche produzioni sciatte ed entusiasmi sgualciti.

In condizioni come questa una classifica riflette in modo molto sfocato le tendenze musico-culturali dell’anno. Di sicuro è la nostalgia a segnare il passo, nostalgia per tutto e per tutti: in primis quella per il synth-pop anni ’80 (Destroyer e Washed Out i lacrimoni più rotondi, Neon Indian e Toro Y Moi le delusioni) ma anche per il garage anni ’60 (il bel Night Beats) e l’indie chitarristico dei primi anni ’90 (i pur diversissimi Yuck e Real Estate). Per non parlare dell’elettronica, sempre più piegata a contemplazioni retro-futuristiche. Qualche moderata novità, ma sempre in chiave sincretica (gli africanismi rock di tUnE-yArDs e Zun Zun Egui, i rockismi africani dell’unione Tinariwen e Tv on the Radio). Allo stesso tempo è impossibile valutare se un disco sia meglio di un altro, visto che i nostri canoni sono continuamente reinterpretati e alcuni dischi impiegano anni a farsi largo.

Consci del fatto che le opere più significative e durature non sono quelle che adesso ci appaiono compiute ma invece quelle brutte e sgraziate, proviamo a darvi qualche consiglio. Escludiamo dalla lista gli album più noti e già canonizzati da riviste e blog: niente PJ Harvey dunque, seppur godibile e forse importante, niente Kurt Vile o War on Drugs, niente Tom Waits (quasi quarant’anni di carriera compulsati in 45 minuti), Radiohead (fondo del barile), Bjork (idem) o Limp Bizkit (!!!).

Non pretendiamo di essere originali, tutto quel che troverete qui è scopiazzato. Il gusto mio è anche il vostro, o meglio di qualcuno di voi. O meglio, ecco qui:

10. Mark Fry & The A. Lords – I Live in Trees [Second Language]

Una vita fa Mark era un cantautore acid-folk inglese. Era scomparso e mò è tornato. Questo disco è una delizia piena di suoni naturalistici estatici e di melodie indolenti.

9. St. Vincent – Strange Mercy [4AD]

Finto electro-pop colto e creativo, suonato benissimo e gonfio di idee. Aggiornare il Brian Eno degli anni ’70 è operazione gradita, specie quando si ha tanto coraggio.

8. Humcrush with Sidsel Endresen – Ha [Rune Grammafon]

Free-jazz nervoso e divertente dalla Norvegia, per un duo percussioni-elettronica in area Supersilent e una voce femminile post-avanguardistica, calda e umana.

7. Arrington De Dionyso – Suara Naga [K Records]

Mollato anni fa il progetto Old Time Relijun, il ragazzo non ne aveva imbroccata una: qui finalmente ci diverte con free-garage beefheartiani, ritmi ballabili e testi in indonesiano.

6. Dan Melchior – Assemblage Blues [Silbreeze Records]

Altro cantautore inglese acidissimo, in un disco a bassissima fedeltà fatto di rumoristica assortita eletta a ritmica e chitarre acustiche spiegate. Del tutto fuori moda, e dunque prezioso.

5. The Advisory Circle – As the Crow Flies [Ghost Box]

Diciassette tracce strumentali dominate da synth e arpeggiatori retro, melensaggini chitarristiche e xilofoni. Più archeologia che nostalgia, la tv di trent’anni fa come nuovo patrimonio folklorico.

4. Braids – Native Speaker [Kanine Records]

Pop psichedelico brillante e attuale, dal Canada. Sette pezzi scritti come si deve, dominati da reiterazioni chitarristiche, synth e battiti tribali. Un disco così coeso è proprio merce rara.

3. Hallock Hill – There He Unforeseen [Autoprodotto]

Quieto e lentissimo. Sei tracce di drone ambientali e arpeggi catatonici di chitarra acustica, con giusto qualche nota di piano, dolcemente accrocchiati ai lirismi languidi della provincia americana.

2. Winter Family – Red Sugar [Sub Rosa]

Un duo franco-israeliano che suona una musica assieme delicata e tragica. Harmonium e piano, qualche nota di carillon. Un recitato femminile dolente intreccia sussurri e parole, conflagrazioni e silenzi.

1. Fucked Up – David Comes to Life [Matador]

Melodie tonde e testi colti, un parenne macinare di riff punk-rock, un progetto narrativo complesso e ambizioso, una voce grottesca e fuori luogo. Un album sfacciatamente ambizioso, in una società modesta come la nostra, è forse il più gradito lascito di questo 2011.

http://youtu.be/mW0-jrDeSgQ

bobi raspati

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