Test d'ingresso

di Valentina Parasecolo

Nel 1935 Mino Maccari scriveva: “E’ pericoloso dare gratis ai giovani molte cose che costarono carissime agli anziani”.
Sempre di più penso che in troppi l’abbiano preso sul serio.

Durante questa estate si sta consumando un mezzo delirio kafkiano (niente di nuovo) su test di ingresso e prove per accedere a corsi di formazione e facoltà.

Partiamo dalla nota figuraccia del Ministero sulla storia dei Tfa. Per chi non l’avesse seguita, i tirocini formativi attivi sono dei corsi a cui possono accedere i laureati che ambiscono a diventare insegnanti.
L’iter dopo la chiusura della SSIS: Laurea 3+2 -> Prima prova Tfa -> Seconda prova Tfa-> Terza Prova Tfa -> Abilitazione all’insegnamento con inserimento nella II fascia delle graduatorie di istituto. 
Una squadra nominata dal Ministro Gelmini, che aveva fortemente voluto questo nuovo sistema, ha stilato delle domande un anno fa. Quelle domande, 60 per ogni classe di materie, sono state poi riposte nel cassetto, pronte ad essere tirate fuori il 9 luglio 2012 per il primo test Tfa.
Quattromila i candidati nei vari atenei. Ne passano in 141. Non avevano studiato? Forse. Certo è che erano in gran parte assurdamente nozionistiche (Chi era Amifinio, Ermarco di Mitilene, Roberto Testagrossa -invece di Grossatesta-?). E altrettanto certo è che molte contenevano errori. Tanto è che il Ministero ha tentato di rimediare abbonando quelle sbagliate anche a chi non aveva risposto. Risultato, fino a 25 domande date comunque per buone su 60.
Una vicenda imbarazzante. Eppure, forse per ragioni di risparmio, la prova non è stata annullata e rifatta. Se non altro Profumo ha pubblicato la lista nera di professori ed esperti che hanno lavorato alla compilazione delle prove. Così avete qualche idea su chi destinatario scegliere se vi viene voglia di fare una pernacchia per telefono.

Altro giro, altra corsa. Questa settimana ci sono state le prove di ammissione per alcune facoltà di medicina (San Raffaele di Milano, Campus Biomedico di Roma,…). La prossima ci saranno quelle nelle altre facoltà. Il Miur, per far esercitare i candidati, mette a disposizione un sito che simula la prova. Logica, cultura generale, chimica, fisica, matematica. Di nuovo domande che rispondono al tradizionale criterio italiano della valanga di quesiti di cui non si capisce il senso tanto che il nefrologo Giuseppe Remuzzi (autore di 800 pubblicazioni scientifiche) confessa: “Io non sarei passato”. Per esempio, si chiede a cosa si faccia riferimento, “nel discorso storiografico relativo per esempio all’Italia del XIX secolo, con l’espressione «manomorta»”. Una lusinga lasciva all’assurdo? In compenso, nessuna verifica dell’inglese e delle nozioni di tecnologia e informatica.

“Quando questi ragazzi saranno laureati gli interventi chirurgici li faranno i robot e il 90 percento della medicina sarà information technology. Già oggi i miei colleghi più giovani hanno tutto nell’iPhone, su queste tecniche non c’è nulla”.

Insomma, per dirla alla Maccari, non vorrai mica che basti essere diplomato con il massimo dei voti, avere una laurea con lode e una ferrea determinazione per ambire a fare quello che vuoi nella vita? E’ giusto che soffri nell’incertezza che tutto quello che sei e vuoi non basti. E’ giusto che soffri tanto, perché professori, esperti, funzionari almeno cinquantenni hanno sofferto di sicuro più di te per diventare così bravi da sbagliare pure le domande dei tuoi test.

Eppure in altri Paesi, a partire da quelli anglosassoni, la pensano diversamente. Bei voti, volontà e attitudine possono bastare. Per accedere a Università, scuole e corsi di formazione si usano prevalentemente i seguenti strumenti:

– saggi di presentazione che contengano cenni biografici e motivazioni;

– lettere di raccomandazione di professori e datori di lavoro che segnalino le competenze e le caratteristiche del candidato;

– la valutazione del percorso scolastico intrapreso fino a quel momento;

– colloqui attitudinali.

Ma anche in Italia qualcosa si muove. In alcuni casi, come nei concorsi pubblici per il Comune di Roma, si utilizzano sistemi altamente informatizzati e liste di domande precedentemente fornite a tutti gli aspiranti da cui vengono estratti i quesiti con massima trasparenza (e speriamo che Profumo immagini qualcosa di simile quando dichiara di voler dare ai giovani una nuova fiducia nei concorsi).

Eppure finora la maggioranza delle procedure si basano su domande che attingono a un bacino potenzialmente sconfinato di nozioni che nulla hanno a che fare con la qualità di un candidato. Che vantaggi porta verificare un candidato in questi termini, se non quelli di:

– accreditare analisi sommarie e sbrigative da parte dei valutatori;

– facilitare la strada ad eventuali raccomandati precedentemente informati sulle domande;

– avallare il pensiero per cui merita chi sa che «piove su le tamerici…» è un’anafora e che Carneade era un filosofo, rispetto a chi dimostra la bontà di un’aspirazione, l’attitudine allo svolgere un mestiere e lo scrupolo nel perseguire la propria volontà?

 

RSVP prima di collezionare l’ennesimo motivo per andarcene.

 

 

Commenti

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1 Comment

  1. Giulia F. settembre 4, 2012 Reply

    Pienamente d’accordo con quanto scrivi, anche se l’articolo di Remuzzi su Corriere mi ha lasciata a dir poco allibita.
    Dire “non so di cosa è morto Gandhi” (attacco cardiaco?) scrivendo in modo sbagliato pure il nome e dire “non me ne vergogno” fa riflettere!

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