Talibam

di Bobi Raspati

Il Bureau vuole bene ai giovani e si batte per debellare il disfattismo dalle nostre membra di poveracci. Lo speciale sulla resilienza ha lanciato la sfida. Il tempo del posto fisso è dolcemente tramontato e mò tocca a noi rifare il mondo, seppur a spizzichi e a mozzichi. Tutto è resiliente, cinguettano i nostri amici plutocrati, tutto s’aggiusta. Che dire allora della musica? Se mattone e banche sono entrati in crisi nel 2007, il mercato del disco boccheggia da più di dieci anni – vale a dire da quando la diffusione dell’mp3 ha levato senso al cd. Cosa sarà successo nel frattempo? In un articolo pubblicato tempo fa si provava a teorizzare una musica resiliente, basata su diverse modalità di distribuzione, riduzione dei prezzi e formati eccentrici. In che modo tali cambiamenti influiscano sulla musica in sé resta tutto da vedere. Ecco a voi un caso curioso di musicisti sfigati eppure resilienti.

Kevin Shea è un batterista di Brooklyn. Da sempre in guerra con la tirannia del 4/4, il suo rullare patafisico ha screziato dozzine di progetti – tra cui Storm & Stress e Mostly Other People Do The Killing. Assieme al tastierista Matt Mottel costituisce il duo Talibam!, dedito a una psichedelia poliritmica e buffonesca. Fedeli al verbo zappiano, i ragazzi hanno coraggio sia come musicisti che come impresari di sé stessi. Il coraggio di fare un sacco di scelte suicide e di restare gioiosamente marginali e sprezzantemente incompiuti.

La loro discografia è una pioggia di autoproduzioni in CD-R e qualche uscita maggiore. L’esordio nel 2005, due anni dopo Ordination of the Globetrotting Conscripts e nel 2009 Boogie on the Breeze Block (pubblicato dalla leggendaria etichetta ESP). I Talibam! suonano come un sintetizzatore in caduta dalle scale, ma sempre più spesso infilano nelle loro tirate free voci e melodie tutte da ridere.

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Soprattutto fanno un sacco di concerti, sedici tour europei, infinite collaborazioni e jam (Weasel Walter dei Flying Luttenbachers, il jazzista Daniel Carter e i psicotropici Peeesseye). Manco un anno fa il sodalizio col trombonista Sam Kulik frutta Discover AtlantASS. Un progetto resilientissimo: l’ensemble scrive la musica con l’illustratore James Clapham e pubblica un cd visionario accompagnato da un albo a fumetti, presentati e venduti al pubblico in una lunga serie di concerti. Poi il disco si tramuta in uno spettacolo teatrale, finanziato sulla piattaforma IndieGoGo attraverso un bando di crowdfunding. E più di recente ecco la serie Launch Pad, nella quale il duo strapazza le tracce digitali di alcuni album recenti, semplicemente suonandoci sopra (finora è toccato a Dirty Projectors e Frank Ocean).

Annunciato da una sequela di assurdi video virali come questo

[yframe url=’www.youtube.com/watch?v=n98d86Tyf5U’] il disco Puff Up The Volume sancisce il loro debutto nel mondo dell’hip hop. La strada era stata annunciata dal singolo Cosmoplitude, poi capita che Kevin si rompa un piede e allora ecco un intero album di tempi quasi quadrati e di metriche quasi rap. “Talibam! in the house, 2012”: lo chiamano no-school rap ed è un goffo scimmiottare la lingua dell’hip hop, tra fissazioni erotiche e ritornelli in autotune (“Dr fucking Giggles is in the motherfucking house”, “I wanna blow blow blow all the nipples in my block”, incipit di ‘Tappin That Ass’). Moaty Moguls e K Wizzle, questi gli alias scelti, sono del tutto inverosimili come MC. E la musica è un minestrone cosmico tra Sun Ra e krautrock, comicamente in salsa rap. Più che una parodia, l’album è un atto d’amore verso il suono della voce e verso la musica, capace di saltare gli steccati di genere e le convenzioni stilistiche. Tanto surreali quanto spassose, le 19 tracce sono quanto di più vitale sia passato per i vostri smartphone negli ultimi tempi.

“Music and art is all that I got, but it’s not as solid as a gold nugget rock”, rappano i nostri. Ricapitolando: dai cd autoprodotti al finanziamento tramite piattaforme crowdfunding, dal jazz al rock astrale e al no-school rap, tra etichette indipendenti e bandcamp, progetti multimediali e una miriade di performance dal vivo. La china della resilienza non necessariamente emancipa dalla precarietà e non sempre farà felice il nostro amico Passera. Come sempre, l’importante è divertirsi.

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