Note dolenti #2 – The Howling Hex, Doldrums, Bill Baird

il bureau - note dolenti - episodio 2

di Bobi Raspati

Alcuni di voi, nonostante le chiare indicazioni espresse dalla rete (ovvero dalla rubrica Note dolenti e dal suo autore Bobi Raspati), si ostinano ad ascoltare musica di casta. Siamo qui per la rivoluzione e non vi daremo tregua. Apriscatole in pugno, come sempre ispirati dalle umide effigi del re del rock. Come sempre di lunedì, come sempre a cadenza bisettimanale. Note dolenti avanzerà baionette in canna: paese per paese, villaggio per villaggio, andremo a snidare anche nel profondo dei vostri timpani la monnezza che vi autoinfliggete. Arrendetevi, siete circondati.

The Howling Hex – The Best of the Howling Hex [Drag City, 2013]

Kurt Cobain che prende a cazzotti George W. Bush: non avremmo potuto trovare migliore rappresentazione della nostra idea movimentista e rivoluzionaria di rubrica musicale. Rendiamo dunque grazie al problematico cervello di Neil Michael Hagerty, uno dei nostri drogatelli preferiti pure ora che beve solo the. A guardarlo in faccia parrebbe un catorcio da prima repubblica indie, eppure è uno che rifiuta i privilegi di casta e gli agi massonici dei mortizombie rock. Gloriosissimo chitarrista di Pussy Galore e Royal Trux, da una decina d’anni pubblica dischi irricevibili e impresentabili – il che gli fa ovviamente onore visto che non riceve contributi pubblici. A dispetto del titolo, questa non è affatto una compilation ma il suo ultimo sballatissimo lavoro. Nel solco dello svillaneggiato Wilson Semiconductor (a noi gente della rete era piaciuto da matti), ecco un’altra mezz’ora filata di polka elettrica e di psichedelia in levare. Otto pezzi acidi e demenziali, come da programma. Un bel disco? Probabilmente no, ma talmente scombiccherato e originale da essere degno del più ossequioso rispetto.

Doldrums – Lesser Evil [Souterrain Transmissions, 2013]

Chi segue queste pagine avrà colto il nostro disperato richiamo: basta nostalgia canaglia e passatismi calligrafici, restituiteci il futuro! A rispondere il disco di Doldrums, che si distingue come uno dei più rilevanti tentativi di servirsi della dubstep e più in generale dell’elettronica recente per scopi canzonettistici. Caldeggiato da quei pervertiti hipster di Pitchfork e dalla scipita conterranea Grimes, il montrealese Eric Woodhead non si presenta certo con le migliori credenziali. Al netto di tanti momenti mortificanti e di un falsetto post-radioheadiano da far accaponare la pelle, Lesser Evil esibisce invece un buon talento musicale e qualche degna intuizione. E almeno tre pezzi al di sopra della media: l’house di ‘Egypt’, l’arrancare zoppo di ‘Live Forever’ e la mielosissima ‘Painted Black’. Vi urta? Aridatece il passato? Beh, io c’ho provato.

Bill Baird – Spring Break of the Soul [Pau Wau Records, 2013]

Il texano Bill Baird, povero di portafoglio ma ricco di cuore, è un nostro protetto e gli si vuole bene (e già era capitato nel meglio del 2012 col bel Career). Quindici dischi pubblicati in manco sette anni, a proprio nome o come Sunset, la sua carriera incarna vizi e virtù del nuovo precariato musicale – zero capacità di concentrarsi in progetti a lungo termine, freni inibitori assai laschi ma anche parecchio ingegno. Spring Break of the Soul è un album doppio concepito come colonna sonora di un ipotetico musical satirico, consta di 17 pezzi e dura circa un’ora. Come potete sentire, si tratta di un pop psichedelico parente di Syd Barrett, Robyn Hitchcock e del primo Beck. Chitarre acustiche ed elettriche, archi, fiati, sitar, un sacco di percussioni e tante voci, spesso trattate elettronicamente. Sebbene forse un po’ sfilacciato e probabilmente non il suo miglior lavoro, l’album è zeppo di idee e di vita. Sulla pagina bandcamp dell’autore troverete tutti i suoi dischi in free download e un’anteprima di questo qui. Che è a pagamento (8 euro per la versione digitale o 18 per il doppio vinile, con mille ammennicoli e script autografo del musical): un piccolo investimento contro la casta indie, soldi spesi bene.

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