i meglio dischi 2012

di Bobi Raspati

L’uomo dell’anno, la parola dell’anno, l’evento dell’anno, il libro dell’anno, lo sportivo dell’anno, il film dell’anno, la sassaiola dell’anno, la milf dell’anno, il matteorenzi dell’anno, l’approccio in aeroporto dell’anno, il disco dell’anno. Immagino che per molti di voi non sia così, ma io di questi tempi mi immalinconisco un po’. Ancor più che i cenoni con parenti avariati e lo sfacelo delle luminarie cittadine, ad abbattermi è la sensazione che il tempo mi sia sfuggito di mano. Non che lo scorrere delle stagioni mi sia mai stato amico. Il punto è che mò finisce l’anno e, bello o brutto che sia stato, noi poveri pensatori siamo braccati dalla (vostra) frenesia di storicizzare e di chiudere i conti col presente. Volete sapere com’è andato il 2012? Ebbene, se proprio ci tenete, eccovi il mio gelido resoconto.

Per prima cosa una domanda: avete idea di quanti dischi si possano pubblicare in dodici mesi? La cifra esatta è incalcolabile ma si aggira di slancio intorno al centinaio di migliaia – tra uscite major e indipendenti, tra stampe su cd o vinile e album digitali, tra iTunes e Bandcamp, tra Ricordi e Amazon. Quanti pensate ne abbia ascoltati per davvero il vostro amico più secchione e competente? E quanti il recensore di fiducia? Quanti ne avrò ascoltati io? Le vostre più generose ipotesi valgono poco, ogni classifica di dischi non è che la selezione di una selezione. La verità è che quel che passa dalle nostre zampacce ai vostri occhioni di lettori, e da lì ai vostri smartphone e ai vostri preziosi timpani, è una poltiglia già filtrata da mille setacci. Prima ancora che da questione di gusto e competenze (come se a quel punto poi la questione fosse facile…), la scrematura è fatta dalle circostanze e dalle capacità di accedere alle informazioni. I canali sono certo la radio e i giornali specializzati, ma anche e soprattutto i blog e RateYourMusic. Insomma, anche qualora si avesse un sacco di tempo e nervi saldissimi, stilare una classifica dei migliori dischi dell’anno è un’operazione poco seria. E dunque appetitosa e affascinante.

Cos’è accaduto nel 2012 musicale? Il quadro generale è sfocato, fatto di mille segni e segnacci. Fra crisi del mercato discografico e resilienza, l’emergere di nuovi formati e la nostalgia come dirizzone poetico, risalta l’assenza di un romanzone di ampio respiro. In altre parole, a guardare l’anno che volge al termine vediamo un brogliaccio indistricabile di stili, informe e incolore. Qual è l’opera più rappresentativa? Qual è la musica del 2012? Ancora una volta, non lo saccio. Per ora, ci pare che l’unico tratto distintivo di queste annate sia la frammentazione e la mimesi stilistica.

Culmine della retromania, i dischi di un sacco di vecchi arnesi. Quelli bruttarelli di Leonard Cohen e Bob Dylan, quelli coraggiosi di John Cale (qui alle prese con una coltre di autotune) e Scott Walker (per la verità mai davvero invecchiato, e dunque ispiratissimo). Ma anche il doppio di Julian Cope e quello (davvero bello) degli Swans, dei Mission of Burma e dei Public Image Ltd., il ritorno dei Dirty Three e persino dei Godspeed You! Black Emperor. Abbiamo avuto poi la solita schiera di pischelli nostalgici. I Cloud Nothings in botta di Wipers e Steve Albini, i K-Holes e il post-punk di San Francisco, i DIIV sulla china dei New Order e gli Here We Go Magic dei Talking Heads, gli anni ’60 psichedelici dei francesi Melody’s Echo Chamber e dei nauseabondi Tame Impala/Pond (mò basta però!), il supergruppo Anywhere e i cameleontici The Men alle prese coi ’70, l’ondata neo-garage di Ketamines e Intelligence. Ma anche un po’ di dischi eccentrici, se non altro nel formato. Come la finta raccolta di hit da fine del mondo a cura di Prince Rama e quella di Aidan Baker, fatta apposta per la riproduziona casuale. In più almeno due album interamente inscenati su YouTube, l’art-punk di Micachu e l’hip-hop di Captain Murphy (nient’altro che Flying Lotus sotto mentite spoglie, peraltro autore negli stessi mesi di uno sbiadito ritorno). E ancora: rap e breakcore, dubstep e chillwave, free improvisation e free folk, neo-psichedelia e post-qualsiasi cosa.

Beh, ecco dieci dischi potenzialmente significativi prodotti nel 2012, forse duraturi o magari marcescenti. Lascio fuori un sacco di roba bella e meno bella (ne cito tre: quel grandissimo compositore pop di Frank Ocean, il jazz di Charles Gayle Trio, la finta world music dei Goat). Non me ne si voglia: confidiamo negli anni a venire, prontissimi a cambiare idea alla prima brezzolina.

10) Chris Rehm – [I found an] Elephant Ring [and gave it to you] (Autoprodotto)

Un album folk scarno e melodico, fatto di bordoni casalinghi e loop di chitarra acustica. Il disco è in download gratuito sulla piattaforma Bandcamp.

9) Shackleton – Music for the Quiet Hour / The Drawbar Organ EPs (Woe for the Sceptic Heart)

Dub, dubstep, drone e minimalismo. Il produttore inglese, qui al suo secondo album, cesella una roba scura e lentissima. Parente stretto dell’Aphex Twin ambient, il disco completa alla grande penniche epocali e profonde letture.

8) Micachu – Never (Rough Trade)

Nervoso e bizzarro, il secondo lavoro del gruppo inglese accoppia il post-punk all’elettronica recente. Il disco è una feroce satira delle routine quotidiane, miracolosamente coeso in quanto a suono e pasta compositiva.

7) Talibam! and Sam Kulik – Discover AtlantASS (Belly Kids)

Un album esilarante su un giovane pescatore capace di salvare Atlantide dalle multinazionali grazie al proprio cuscino magico. Free jazz magmatico in piena area Sun Ra, zeppo di dialoghi da ridere e accompagnato da un bel fumetto.

6) Dustin Wong – Dreams Say, View, Create, Shadow Leads (Thrill Jockey)

Loop su loop, la chitarra del nippo-hawai-ammericano Dustin Wong imbastisce sinfonie pop di tre minuti e mezzo. Variante indie del minimalismo di marca Steve Reich, la sua musica è colorata e rinfrescante. La mia vicina di casa detesta questo disco perché “suona come un labirinto”. L’analogia regge, ma Dustin è bravissimo a farci trovare sempre una via di fuga.

5) Bill Baird – Career (Autoprodotto)

La voce dei Sunset torna con un disco fatto di chitarre elettriche compresse e drum machine sparata in 4/4, alla Chrome. Psichedelia kraut e immaginario fantascientifico, con un sacco di canzoni ben scritte. L’americano Bill Baird è il rimastone dell’anno (e il disco costa appena 5 dollari).

4) Neneh Cherry & The Thing – The Cherry Thing (Smalltown Supersound)

La nostra amatissima Neneh Cherry è nata in Svezia, così come Mats Gustafsson e il suo gruppo. Se in Italia è conosciuta soprattutto per il suo duetto con Youssou  N’Dour, la sua è stata una carriera assai brillante e variegata. Qui si ripropone come versatile cantante free jazz. Le cover ‘Accordion’ e ‘Dirt’, rispettivamente di Madvillain e Stooges, bastano e avanzano.

3) Laurel Halo – Quarantine (Hyperdub)

Strati e strati di sintetizzatori e arpeggiatori, loop vocali eterei, melodie pop e testi raggelanti. Qui non c’è proprio niente da ridere, e nemmeno l’ombra di un beat. La commistione tra ambient e pop operata dalla musicista america a qualcuno ha ricordato Bjork, a me pare invece il folk astrale di Tim Buckley aggiornato a questi anni qui.

2) Death Grips – The Money Store (Epic)

Un rapper assatanato, una produzione sanguinolenta e un batterista hardcore a forzare di continuo le ritmiche (è il grandissimo Zach Hill!). Questo disco non è affatto accomodante, ma mette invece brividi di paura (curiosamente, è il solo album pubblicato da una major di questa classifica). Un’esperienza intensissima e una rilevante novità – dal vivo poi sono da non perdere.

1) Jason Lescalleet – Songs About Nothing (Erstwhile)

Il titolo è esplicito, e assieme alla copertina riporta al capolavoro dei Big Black di Steve Albini – Songs About Fucking. Niente sesso però, niente di niente. Un’ora e mezza di musica concreta, laddove la musica suonata, i beat elettronici e scampoli di melodia, dialogano con silenzi, frusci, suoni antropici e naturali. Due dischi, e il secondo è un’unica traccia di 43 minuti. Il finale è una beffa, così come questo 2012. Non compratelo, non fidatevi.

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