Violenza glam

di Roberto Morelli

Quindici anni: cosa c’è di più bello, tra una pippa e l’altra, di una bella rapina a mano armata? Nel covo, i nostri novelli Scarface di Manfredonia avevano il dvd de il “Il capo dei capi”. Covo, capo dei capi, ho già sentito questa storia altre due volte, qui e pure qui. Qualcosa non va e io so cos’è. “Il capo dei capi” non va, non va “la banda della uno bianca”, non va “Vallanzasca” e tanto meno “L’ultimo padrino”. Non vanno, in generale, tutti questi mediocri esempi di Blow in salsa nostrana. Cosa c’è di più mortalmente banale, nel 2012, della figura del mafioso cattivo, carismatico e tanto tanto cool? Non mi lancerò certo adesso in una dotta dissertazione sul fascino del male, sulla pedagogia delle masse e sul perché l’uomo medio trovi tanto irresistibile quest’accozzaglia cialtrona di fetide banalità: non ho gli strumenti e non ne ho voglia. Quel che mi preme sottolineare, invece, è la distanza siderale che c’è tra la violenza figa dei criminali da telefilm (motoretta, vetri infranti, sventagliata di mitra… manca solo l’impennata finale!) e la violenza vera.

«Bella scoperta», vi vedo già sghignazzare di fronte a questa mediocre rivelazione, ma aspettate. Che il cinema o la tv siano una cosa, e il mondo reale un’altra, è pacifico; il trucco sta però nel fatto che la vastità di quest’abisso è difficilmente immaginabile. È in ultima analisi la mancanza della sanzione di una fine estrema in film e telefilm che infastidisce, il non comunicare – tra frasi fatte, giubbotti vintage, ray ban e altra pochezza – neppure un briciolo dell’orrore della morte e della violenza. O al cattivo va bene, diventa “boss”, comanda e fa tanti tanti soldi, oppure, mal che vada, crepa. Come muore? Muore così. Applausi, fascino ed erezione a entrambi i finali. Ora andiamo in Messico…

Félix Gámez García e suo zio Bernabé Gámez Castro sono seduti per terra, la schiena contro un muro di fango, le mani legate dietro la schiena. Fanno parte del cartello di Sinaloa e sono stati catturati. Per qualche minuto parlano della loro attività di trafficanti e sicari, dei loro guadagni (per l’ultima consegna 300 pesos, 23 euro), elargiscono perfino consigli ai giovani. Poi, la violenza. Il forte scoppiettare di una motosega rompe il silenzio, Bernabé Gámez Castro, serra la mascella e contrae i muscoli del collo; un istante: un torrente di sangue dalla gola squarciata gli inonda il torace. Il corpo si abbatte leggermente a sinistra, fino a che la testa, ora debolmente attaccata al collo, finisce contro il braccio del nipote Félix Gámez García. Il grottesco boia tuttavia non è ancora soddisfatto e con alcuni precisi colpi finisce di recidere il capo all’uomo. Félix Gámez García si volta, per un attimo guarda il corpo decapitato dello zio con serena vacuità: il senno lo abbandona in pochi istanti, meno di un secondo e dentro di lui qualcosa, semplicemente, si spegne. Il suo carnefice si avventa sul suo collo con un coltello e inizia a sgozzarlo. Rantolii, gemiti, un urlo spaventosamente innaturale e poi si accascia al suolo. E mentre il boia lotta contro il suo osso del collo per staccargli del tutto il capo, quest’ultimo respira ancora. Un respiro sempre più lento e affannoso e spaventoso: se la morte potesse parlare, questa sarebbe la sua lingua.

Tolta la patina di “coolness”, tolta la calza dall’obiettivo, resta la morte. Visione insostenibile, che strappa dall’anima (e della propria umanità) brandelli di carne viva. Il link alla pagina che contiene il video, a ogni modo, è qui (il video è estremo, quindi fatevi bastare la descrizione qua sopra se non siete preparati). È importante sapere che c’è, non è affatto importante vederlo. Tuttavia è da qualche mese che, ogni volta che accendo la televisione e mi imbatto in coppole, lupare, gangster, terroristi e malavitosi carismatici, il pensiero di Bernabé Gámez Castro mi colpisce all’istante, un pugno in pieno volto. Vedo lui, i suoi baffi e i suoi capelli corti, gli occhi spenti della morte e il collo contratto. Non lo reggo per più di qualche secondo, ma non lo voglio mai dimenticare.

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