Solo tre puntini

di Raffaele Cappuccio

Qualche giorno fa ho avuto uno scambio di mail con l’addetta stampa di un politico. Avevo bisogno di alcune informazioni. Nell’ultimo messaggio la collaboratrice mi scrive: «Se hai bisogno di qualsiasi altra cosa, chiamami. Ti lascio il mio numero: 33*********». Normale rapporto di lavoro, si potrebbe pensare. Qualcosa, però, non mi tornava. Qualcosa che mi lasciava pensieroso: c’erano tre puntini dopo il numero di cellulare. Per capirsi: «33*********…». Perché quei puntini di sospensione? Non ho resistito e ho chiamato a raccolta un po’ di gente. Tutti maschietti, in realtà (forse è meglio dire “ovviamente”). Ne è nata subito una dissertazione sul significato dei puntini alla fine di una frase. Soprattutto quando sono tre (lo toccherò fra poco questo argomento). Poi a un certo punto arriva un altro mio collega. Lo coinvolgo nella discussione. All’inizio non risponde. È catturato dallo schermo del computer. Gli occhi come ipnotizzati. All’improvviso, il lampo: «Questa ha voglia di…». Ora i puntini li ho messi io.

Dopo il clamore delle risate, sentivo ancora che qualcosa non mi tornava. Alla fine ho compreso: i puntini erano solo tre. E quindi? Bene, vedere una cosa del genere è una rarità! Addirittura esiste una specie protetta: il gruppo di chi mette lo spazio dopo il terzo punto e, se possibile, non sempre con la lettera maiuscola alla prima battuta. Ormai si vedono parole seguite da un’infinità di punti. Quattro, cinque, sei. Batti il dito sul tasto e via……………… fino all’infinito. Ognuno ha uno stile tutto suo. Quasi un segno di distinzione.
A tal proposito c’è un caso che più di tutti mi ha turbato. Unico, direi. Non mi era mai successo di vedere una cosa simile. Premessa: ho scambiato alcuni messaggi con una persona. Tante parole. E a volte puntini (pochi in realtà). E ogni volta erano due. Solo due. Perché non metterne almeno un altro? Che ti costa metterne un altro? Lo immagino quel dito che batte sul tasto. Fa un rumore delicato: “ta-ta”. Colpi fugaci, per non rimanere sospesi. Per non staccare troppo i piedi da terra.

I tre puntini sono diversi. Hanno un’altra musicalità. “Un-due-tre”. Come una terzina musicale in uno spartito di Bach. Arriva all’improvviso. E, di colpo, la musica diventa altro. Forse i puntini sono solo lo specchio dell’anima… e in quest’ultimo caso ho avuto la sensazione di avere a che fare con un persona controllata. Uno e due. E che ci passa tra due punti? Al massimo una linea. Cioè la monotonia! E allora mi è venuto in mente quel gioco della settimana enigmistica che ti chiede di unire i punti. Sai che brio: basta fare A-B-C-D. È facile da imparare. Anzi banale. Anzi, no: mediocre. In tre puntini, invece, c’è tutto. Se vuoi, puoi saltare anche da A a C. È folle, ma almeno non è triste.

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