Tra euroscettici e ideali, l’UE si allarga. Benvenuta Croazia

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di Paolo Costa

Il primo luglio 2013, la Croazia è entrata a far parte dell’Unione Europea in qualità di ventottesimo Stato membro. Il precedente allargamento aveva riguardato complessivamente, seppure in due tranche separate (rispettivamente 2004 e 2007) dieci Paesi appartenenti all’Europa dell’Est, oltre a Cipro e Malta. Per il numero di Stati coinvolti, ma soprattutto per la loro storia passata, questo allargamento ha rappresentato un momento storico nel processo d’integrazione europea, soprattutto per i Paesi nuovi entranti, che vissero allora con trepidazione l’ingresso nell’Europa comunitaria.

Il valore simbolico dell’iniziativa andrebbe ricercato innanzitutto nelle intenzioni ideali di pacificazione ed inclusione di un’area geografica e politica, per decenni tenuta separata dalla cosiddetta Europa Occidentale, fino alla caduta del Muro di Berlino, a causa delle opprimenti logiche spartitorie della Guerra Fredda. I detrattori dell’Unione Europea attribuiscono invece questo evento unicamente all’interesse, da parte dei grandi gruppi economici, di egemonizzare e speculare sul processo di transizione economica dallo statalismo dirigista al sistema del libero mercato.

Una valutazione serena, a qualche anno di distanza, non può escludere totalmente nessuna delle due visioni, visto il fatto che tutta la storia dell’integrazione europea, dalla creazione della CECA nel 1952 al Trattato di Lisbona del 2009, è stata percorsa dalla tensione tra ideal politik, legata indissolubilmente alla volontà di istituire un’unione politica, e real politik, ravvisabile nella realizzazione, fino ad ora indubbiamente più avanzata, della cosiddetta un’unione economica e monetaria.

Cosa c’entra tutto questo con la Croazia? C’entra nella misura in cui questo Paese è il primo della Penisola Balcanica a entrare a far parte dell’UE, avendo i restanti già presentato domanda di adesione o vantando già lo status di “candidato ufficiale”. E’ interessante, in questo contesto, notare la differenza di percezione nei confronti delle istituzioni europee, che vede da una parte gli Stati già membri ormai da anni o decenni, e dall’altro, quelli appena entrati o candidati all’adesioni.

Mentre nei primi si assiste ad un montare costante dell’euroscetticismo, legato sostanzialmente alla recente gestione della crisi del debito, della situazione greca, alle politiche dell’austerità, i secondi paiono nutrire ancora qualche speranza rispetto ai benefici derivanti dall’ingresso nell’Unione Europea, soprattutto da parte della classe politica. Questo non significa che questi Paesi siano immuni dall’ondata di euroscetticismo che sta investendo tutto il Vecchio Continente.

Ricapitolando: è positivo che la Croazia sia entrata a far parte dell’UE? La risposta non può che essere un doppio sì. Il primo, perché a trarne beneficio sarà innanzitutto la Croazia che, pur avendo fatto diversi passi avanti, grazie anche al ricevimento dei fondi cosiddetti di pre-adesione, sarà destinataria ancora per diverso tempo di una fetta importante dei fondi strutturali, dedicati alla compensazione degli squilibri tra le regioni europee e alla riconversione industriale. Inoltre, l’ingresso nell’UE garantirà  l’accesso ai progetti di mobilità, di cui l’Erasmus è solo l’esempio più noto. Il secondo sì, più generale, è legato invece alla storia recente di un territorio, come quello balcanico, lacerato per anni da pesanti conflitti in parte ancora irrisolti, e la cui inclusione nel progetto europeo costituirebbe innegabilmente un fattore stabilizzante.

Sarà il futuro della Croazia costellato da austerità, sovranità limitata e dominio dei “poteri forti”, dopo l’ingresso nell’UE? Sicuramente no, per la parte che riguarda la retorica anti-UE che si scatenando in questi ultimi mesi, che si alterna spesso tra il ridicolo e il patetico. Per la restante parte, quella che riguarda il futuro in generale dell’Europa, vale a dire quella che vedrà il prevalere di una visione più orientata alla salvaguardia degli interessi economici e mirata al contenimento dei debiti pubblici, il cui tasso di sostenibilità sociale è ormai evidente a tutti, oppure di una visione più attenta alla dimensione sociale e umana, questo dipenderà dai governi dei Paesi europei e dai loro cittadini. Non possiamo rifiutare una conquista, quali sono le istituzione europee, perché l’attuale gestione non ci piace.

Quando in Italia non condividiamo l’operato di un governo, non mettiamo in discussione l’esistenza della Repubblica Italiana, ma cerchiamo di orientarne diversamente l’azione, specialmente quando siamo chiamati alle urne. Lo stesso discorso vale per l’Unione Europea, in cui tuttavia non vigono ancora gli stessi meccanismi democratici per orientare l’indirizzo politico del governo. La battaglia democratica si innesta qui, nel fare in modo che i prossimi anni vengano impiegati per rendere più democratica l’Unione, di modo da renderla più aderente al volere dei cittadini europei, che sicuramente si trovano in maggioranza attualmente nel giudicare negativamente questo governo dell’Europa. Non possiamo che felicitarci che i nostri vicini croati ci possano ora raggiungere in questa battaglia.

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