Siria e nazioni unite

di Elisabetta Terigi

Televisioni, radio e giornali parlano della Siria un giorno sì e uno no. È da marzo dell’anno scorso che è cominciato questo stillicidio di notizie sulle vittime del regime di Assad, sulle rivolte di chi non vuole più vivere sotto la sua dittatura, sulle torture nei confronti dei dissidenti e sull’emergenza umanitaria che colpisce prima di tutto donne e bambini. Viene spontaneo chiedersi quando si smetterà di attendere la fine: ma la soluzione non sembra facile. Eppure qualcosa in queste giornate estive sta cambiando.

La Russia mediatrice – Mosca, che insieme a Pechino aveva sempre detto no ad un intervento militare in Siria, ha deciso di giocare un ruolo più attivo ospitando una delegazione dell’opposizione al regime di Damasco. Obiettivo: cercare un dialogo con chi si è dimostrato da sempre ostile all’appoggio russo al regime di Bashar al-Assad. È Abdel Basset Sayda, il nuovo leader curdo del Consiglio nazionale siriano, ad aver incontrato Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri russo. Dialogo, confronto, ma non un intervento esterno. Questa la teoria che porta avanti il presidente russo Vladimir Putin.

Tutto cambia, niente cambia – Questo il vero grande problema. La Russia scende in campo, ma non sembra assolutamente aver cambiato idea sull’argomento. Non vuole insomma che la soluzione passi necessariamente attraverso la destituzione di Bashar Al Assad. Qualche giorno fa a Parigi si erano incontrati gli amici del popolo siriano, per dire basta all’emergenza nel paese. Russia e Cina ovviamente non avevano partecipato all’evento. Francia e Stati Uniti in testa, avevano deciso di aiutare con più decisione e coraggio gli oppositori al regime. I toni erano diventati tesi nei confronti degli alleati storici del regime di Damasco. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton aveva tra l’altro detto: «Cina e Russia pagheranno un prezzo per il sostegno ad Assad».

Assad e i suoi fedeli – Inoltre proprio durante l’incontro parigino era giunto un importante segnale da Damasco. Manaf Mustafa Tlas, il comandante di una brigata d’elite della Guardia Repubblicana, uno dei pochi sunniti nella cerchia di potere prevalentemente alawita, fuggito da Damasco,  si era messo in viaggio verso l’Europa. Tuttavia è bene ricordare che le defezioni in Libia furono molto più numerose rispetto a quelle della Siria fino ad oggi. Ed è troppo presto per cantare vittoria, per leggere in questa defezione un primo cenno dell’imminente crollo del regime di Assad. Come ha recentemente detto l’ex-generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e geopolitica, in un’intervista su Sussidiario.net : «In Siria la difesa contraerea è moto efficiente, l’esercito estremamente forte e Assad, verosimilmente, ha un sostegno della popolazione e dell’opinione pubblica decisamente superiore a quello che viene normalmente rappresentato in Occidente».

Un’amicizia storica – Per capire perché la Russia di oggi sia così vicina alla Siria è utile dare uno sguardo al passato.  Già nel settecento, la zarina Caterina II affermava che le chiavi della casa russa si trovano in Siria. Per trovare una conferma di questa percezione del passato, basta pensare a come si è consolidato il rapporto tra l’ex Unione Sovietica, oggi Federazione Russa, e la Siria in quasi settant’anni: dal 1944, quando il ministro degli esteri sovietico si recò nel paese dopo la proclamazione dell’indipendenza della Repubblica siriana e disse di non riconoscere il mandato francese sul paese. Poi nella seconda metà degli anni cinquanta, con la crisi del canale di Suez, quando Mosca firmò dei trattati economici e militari con Damasco. La vicinanza tra i due paesi si rafforzò con la guerra dei sei giorni quando l’Urss appoggiò la Siria. Nel 1970 salì al potere Hafez Al Assad, padre dell’attuale presidente. Grazie all’aiuto sovietico addestrò l’esercito siriano e poté costruire strade, ponti, ferrovie, centrali elettriche, impianti idrici e di irrigazione, il gasdotto Homs-Aleppo e la diga sull’Eufrate e realizzare progetti di estrazione petrolifera.

 La linea del Cremlino – Konstantin von Eggert, commentatore politico per la radio russa Kommersant FM, in un’intervista alla BBC di qualche giorno fa ha cercato di spiegare le scelte del suo paese. Innanzitutto un interesse economico. E questo non è una novità. Mosca riceve ordini di fornitura importanti da Assad e rinunciarvi sarebbe una grave perdita. Ma non è solo questo il motivo della posizione pro Assad decisa dal Cremlino.

 La sovranità è regina – Questa l’idea di Mosca. Dall’inizio del nuovo millennio la Russia è ossessionata dall’idea che Stati Uniti ed Europa vogliano rovesciare governi, qualunque sia la loro ragione. La classe politica di Mosca, si legge sempre nell’articolo – intervista, non ha mai accettato concetti come quello della “responsabilità di proteggere” che mira in sostanza a limitare la capacità dei governi autoritari a reprimere la loro popolazione.

La paura del Cremlino – In Russia c’è chi teme infatti che un giorno questa strategia occidentale possa colpire Mosca. E qui sembra tornare la frase di Caterina II sulle chiavi della Russia che si troverebbero in Siria. Sempre nello stesso articolo si legge che gli emissari russi,  invece di consigliare Bashar Al Assad di cambiare i suoi metodi, stiano invece dicendogli di aiutarli ad aiutarlo, di trovare cioè il modo per cui Mosca sia in grado di difenderlo al meglio. Ancora a metà giugno il Cremlino, benché mostrasse di prendere in considerazione la possibilità di un dopo Assad per la Siria, in realtà la riteneva un’eventualità assai remota. E ora è cambiato qualcosa? Non sembra proprio.

La soluzione russa – Mosca ha reso pubblica tra l’altro una sua proposta per i prossimi tre mesi: un prolungamento dell’attività degli osservatori Onu senza però riccorere al capitolo sette della Carta della Nazione Unite che prevederebbe non solo misure economiche e diplomatiche, ma anche l’intervento militare. Le potenze occidentali vorrebbero mettere più pressione a Bashar Al Assad. Si profila quindi un lungo braccio di ferro dunque tra potenze occidentali da una parte e gli storici alleati del regime di Damasco dall’altra.

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