dio zoom

di Simon F. Di Rupo

A fronte della grande notizia sul bosone di Higgs la mia vena speculativa è andata letteralmente a farsi benedire nel dispersivo impulso della pubblicazione online: ho immediatamente scritto <<dire che il Bosone sia la particella di Dio è come dire che ‘cane’ è una particella di bestemmia>>.

Giochetto logico facile, dissimulazione del volgare attraverso una volgarizzazione estremizzata, risate, grande approvazione, “mi piace”, strette di mano telematiche fra cinici che riuscirebbero a ridere di tutto anche da morti; purché ci sia di mezzo l’alone della bestemmia, strumento solitamente terapeutico per piccoli problemi e comunque così efficace di fronte a problemi ancor più grandi.

E fin qui ci siamo, e farsi una risata farebbe bene anche a Dio “in persona”. Eppure così, forte del paradigma di Andrè Glucksmann <<Le mie idee religiose si limitano a questa assurda convinzione: che Dio abbia creato l’uomo e viceversa>>, mi sono al contempo confessato debole di fronte all’immensità del punto interrogativo implicito al paradigma stesso. E’ qui che il Bosone di Higgs rappresenta invece una stesa di punti esclamativi: stiamo pur sempre parlando dell’origine della materia per come ci si dà in natura: la massa.

Buffo che “la massa” sia anche il nome che diamo a ciò che è il pericolo per ogni verità: ossia il diffondersi dell’opinione alla velocità della luce. Dimenticandosi di una decina di secoli di filosofia aristotelica sul Motore Immobile in un batter d’occhio, nel tempo breve di ventiquattro ore dal grande appuntamento di Ginevra, infatti, Margherita Hack è stata in grado di definire la “particella di Dio” come iddio stesso, mentre il cattolico Antonio Socci è stato in grado di dire che ha comunque più rilevanza la notte fra l’8 e il 9 aprile dell’anno 30: le macchie sulla sindone sono ben più importanti di un principio di ragion sufficiente, per dirla in filosofese: per Socci la scienza va combattuta in qualità di Derrick e signora Fletcher dell’amore di Cristo. Un po’ per piacere.

Se da un lato lo scientismo esasperato della vecchia amica sdentata e toscanaccia ci rammenta tanto la presunzione del Luigi XIV che imprecava: <<Dio ha dunque dimenticato quel che ho fatto per lui?>> – come se la tecnica altro non fosse che un tentativo edipico di mondo adulto contro il papà Dio – dall’altro lato, il buon Socci, dall’alto del suo pragmatico collo a dolce vita sotto la giacca, non può che suscitarci nostalgia per il Monsignor Tonini che anni fa sognava il Paradiso come un luogo in cui <<poter stringere la mano a Dio>>, senza troppe pretese di riparare con scienza vaticana aspetti di matrice ben più spirituale, personale. In quanto io uomo di fede imperfetto, riconosco all’imperfezione di questo sacro mondo un creatore sublime. Magari questo fosse l’argomento di fede più acceso!

Insomma, fuor di fideismo o ateismo, e fuori anche dalla pretesa di poter descrivere un evento storico così tecnico con i soli mezzi di una digressione, è  tuttavia davvero necessario che l’interpretazione di dati scientifici debba allo stesso modo di essi incarnare un pensare calcolatore? O forse la sfida con la trascendenza esige, anche sulla base delle nuove scoperte, un atteggiamento ancor più problematico e legato a doppio nodo al mistero della verità, che già da sempre, jaspersianamente, si sottrae all’abbraccio della comprensione totalizzante  – o pretesa tale – dell’uomo?

Il Bosone di Higgs val bene una messa, ma non una messa con una liturgia così tipica fra Pepponi e Don Camilli dell’universo. Il grande e necessario divertimento con la bestemmia di cui all’inizio si accennava è parte di una storia inconscia della nostra civiltà. Con l’avvento dell’umanismo cadde Dio come motore dell’evento naturale; l’uomo ha a sua volta trasferito alla propria volontà le prerogative della volontà di Dio, ma al contempo, più o meno con coscienza, è proprio l’uomo a soccombere sotto l’egemonia della tecnica, che non riconosce come suo limite né la natura, né Dio, né l’uomo stesso, bensì solo lo stato dei risultati raggiunti (ed è per questo che a nostro modo abbiamo aspettato mercoledì scorso affinché dio esistesse, a Ginevra, per giunta); è sulla base di questo trauma autogeno, che è necessario nominare il Bosone come “particella di Dio”: è di fatto un’occasione per ricordarsi la genealogia del proprio smarrimento, e non un dato di fatto scientificamente probatorio.

Non avremo mai un Dio che  si sveglia da una sala operatoria di un meeting scientifico internazionale, come un novello Frankenstein. Ma dobbiamo nominare Dio ciò che con troppa forza conosciamo e non riconosciamo, sia frutto di scienza o sia frutto di fede. E’ da questa profonda lacerazione con il significato della nostra esistenza, che ci dividiamo in scientisti e uomini di fede: per entrambi gli estremi varrà sempre il decreto di Nietzsche per cui <<La cosa migliore e più alta di cui l’umanità possa diventare partecipe, essa la conquista come un crimine>>.

E’ con questa sottile e perpetua rabbia che l’uomo non riesce ad affrancarsi da quel risentimento nei confronti del silenzio di un dio che invoca nello stesso momento in cui lo rinnega: <<l’unica scusa di Dio è che non esiste>>, diceva Stendhal. E’ qui che forse mi sento di poter giustificare quella iniziale ironia conservatrice che mi fece scherzare sulla bestemmia con il margine del dubbio e della non contraddittoria voglia di pensare a fondo la questione dell’origine senza il solo privilegio del “risultato”. Ogni risultato, per come lo pensiamo, è un crimine che amiamo compiere, come ci insegnano sia Prometeo che Gesù. Ci sono tratti di insolvenza e nervosismo per cui sia fede che scienza appaiono umani, troppo umani. Come del resto appare, non senza i suoi notevoli successi, tutto ciò che ha pretesa di salvezza.

E’ forse qui, però, che la scritta apparsa  in un graffito a Londra nel 1975 <<Dio non è morto, è vivo e lavora a un progetto meno ambizioso>>, si spera non si tramuti in futuro in un graffito di Dio di questo tipo: <<l’uomo non è vivo, è morto, e ha lavorato a un progetto troppo ambizioso>>.

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