Twin Towers

«Ma ho un appuntamento con la Morte
A mezzanotte in qualche città in fiamme.»
(Alan Seeger, I have a rendez-vous with death)

di Luca Riposati

Note, prima di cominciare.

Ci sono delle cose che c’è bisogno di dire, che ho voglia di dire. Ci sono altre cose che preferirei non dire, delle sfumature che non vorrei affrontare. Temo che dovrò occuparmi di entrambi. Scriverò molto rapidamente, e non potrò usare tutto lo spazio di cui avrei bisogno. Farò salti logici, e accennerò solo questioni in cui bisognerebbe essere accompagnati per mano. Questo mezzo non lo permette. Attacco dei fogli bianchi alla parete, li guardo, con le maniche della camicia arrotolate, e un pennarello in mano. Cosa farò. Collegherò i puntini, e ogni puntino sarà solo un fatto che è certo, vero al di là di ogni interpretazione. Le righe saranno i salti logici, le ipotesi, le deduzioni. Non dirò tutto. Dirò qualcosa che conti. It is easy too see if you want. La verità è li, giustapposta e nascosta dietro la realtà. Ho la sensazione che basti guardare. Le linee si compongono. I collegamenti si saldano e decadono. Ne nascono di più semplici. Solo le cose certe. Vieni a me, verità. Salta fuori. Ne ho bisogno. Fammi vedere.


LA STORIA

«Due bastoncini, un trattino e una lecca-lecca con il bastoncino rivolto verso il basso, disposti uno accanto all’altro.»

Con questa formula, Atta, per telefono, dà il via all’operazione.

C’è poco tempo e poco spazio, ma nonostante questo, la possibilità di scrivere un mucchio di stupidaggini irrilevanti e insulse. Concentriamoci sulle cose macroscopiche.

«(…) Il crollo dell’edificio 7 è stato causato dalla dilatazione termica, prodotta dagli incendi incontrollati per ore, dell’acciaio della colonna primaria, la numero 79, il cui cedimento ha dato inizio ad un collasso progressivo delle strutture portanti vicine.»

L’Edificio 7 o 7 World Trade Center era vicino alle torri. È bruciato lentamente. È logico che sia andato giù. Squarci da detriti e incendi. Un dettaglio che stona, tra la lista degli uffici che il 7WTC ospitava:

«The Department of Defense (DOD) and Central Intelligence Agency (CIA) shared the 25th floor with the IRS»

È una coincidenza, ma di quelle davvero brutte.


LA TEORIA DEL COMPLOTTO

«(…) i rapporti del NIST non parlano mai di “fusione delle travi portanti”, bensì di “indebolimento della struttura” (…) avviene infatti a temperature molto più basse della fusione (tra i 250 ed i 500°), tanto che a circa 800°, temperatura effettivamente raggiunta nel WTC, la tenuta meccanica di carico dell’acciaio si abbassa già dell’80-90%, quanto basta per innescare il collasso della struttura.»
È molto probabile che ad alti livelli, l’informazione dell’attentato, circolasse. È molto probabile che ad un livello molto alto di comando, questi avvertimenti siano stati sottovalutati e sminuiti o del tutto ignorati: a volte, una nazione, ha bisogno di una Pearl Harbour, per fare quello che deve fare. Un semplice rapporto tra costi e benefici determina l’opportunità del sacrificio.
A dispetto di ogni sospetto, le teorie del complotto riguardo il 9/11 sono un perfetto esempio di come il pensiero occidentale sia in pieno declino. Tra le righe di ogni spiegazione, vera o falsa che sia, si trova il modo di pensare della nostra società. Ci affidiamo ad esperti e sostituiamo il logos a posticci tecnicismi. Esistono esperti di aerei che si schiantano contro grattacieli? Non esiste una casistica, non esiste una letteratura. Ma esistono giornalisti d’accatto che trovano gli buffi (squibs, nel gergo della pornografia del 9/11) delle finestre che si infrangono più in basso della linea del crollo, mentre le torri vengono giù. Non possono le finestre di un palazzo che implode infrangersi? Pare di no, ascoltiamo teorie su cose di cui nessuno ha esperienza. Anni di dogmi televisivi riguardo la temperatura dell’acciaio, smentiti da qualsiasi geometra. “È impossibile che l’impatto di un aereo faccia crollate un grattacielo”, mentre questo è avvenuto davanti ai nostri occhi. L’aereo “di cui non si hanno prove, tracce”, che sventra il Pentagono. E i suoi resti sparsi sul prato, enormi, ineludibili, ignorati perché youtube non ostenta le immagini dell’impatto. Ma chi avrebbe dovuto riprendere il Pentagono alle 9 del mattino di un giorno qualsiasi? La scienza e il ragionamento sostituiti dallo scientismo e dal discorso autoreferenziale, l’uso di presunti dati oggettivi o tecnici per ammantare le parole di autorevolezza. La superstizione si raffina a contatto con la modernità, impara ad imitare il metodo scientifico, lo sostituisce. È andata esattamente come sembra. Le immagini dicono la verità. Le bugie si annidano tutte prima degli impatti, mesi prima dei crolli, fino a due, tre anni prima le “esplosioni controllate” nei palazzi dove “non c’erano ebrei”. Gli ebrei c’erano, l’esplosivo, no. Le macerie di acciaio “vendute ai cinesi e ai coreani il giorno dopo l’attentato per farle sparire”, sono rimaste li per mesi, e ora giacciono mute un po’ ovunque, ma anche in musei. La perizia, il guanto di paraffina, su Oswald, disse che non aveva sparato. La prova, conservata e consultabile, non fu ritenuta “eleggibile” al processo. Tutto agli atti. Le vere bugie scintillano di verità. Oggi le bugie sono la benzina dello show. La ricerca della verità diverge dalla ricerca della felicità: ognuno è rassicurato dalla sua versione dei fatti.
La Commissione sul 9/11 produce un documento puntuale, che risponde con i dati ad ogni obiezione. La Commissione Warren mise insieme un rapporto che faceva acqua da tutte le parti. Che vuol dire mettere in rapporto le due cose?

JFK

Parlando di singoli fatti che hanno cambiato l’inerzia della storia (o l’hanno accelerata) e dei relativi complotti soggiacenti alla “versione ufficiale”, il caso di scuola numero uno è l’omicidio Kennedy. È molto importante farne un’analisi, perché a valle di una serie intricata e intrigante di moventi, c’è un fatto – l’attentato – che ha avuto una dinamica molto semplice. Un’auto in movimento, un bersaglio mobile, e una serie di tiri che lo raggiungono e lo uccidono. Secondo la versione della Commissione  Warren, Kennedy fu ucciso da i colpi (3), esplosi da un unico tiratore, Lee Oswald, da un deposito di libri lungo il percorso presidenziale. Senza addentrarci in perizie continuamente smentite e poi confermate e poi ancora smentite a proposito della possibilità che un fucile Carcano riesca a sparare tre colpi in un lasso di tempi di pochi secondi, basta guardare le immagini: Kennedy viene raggiunto da colpi provenienti da diverse direzioni: non c’è bisogno di esperti, di esperimenti, di ricostruzioni o simulazioni. La dinamica degli urti è forse la parte più abbordabile della fisica classica, e tutti noi abbiamo esperienza quotidiana di corpi che impattano contro altri corpi. E dal famoso filmato di Zapruder, si vede Kennedy colpito frontalmente. La sua testa rimbalza avanti e indietro. È un fatto. Lee Oswald si trovava alle sue spalle, e dalla posizione di tiro vedeva la macchina allontarsi. Secondo la versione non ufficiale, ma ormai accreditata dalla storia, un altro gruppo di tiro si sarebbe trovato davanti a lui, dietro una palizzata di legno, in cima ad una collina erbosa. È un fatto conclamato e impossibile da smentire, che nulla ha a che vedere con la leggenda, che il testimone chiave, un ferroviere di nome Bowers è morto poco tempo dopo l’omicidio di Kennedy – ovviamente non di morte naturale. Bowers, la cui semplice biografia ne attestava la solidità come teste, sosteneva di aver visto alcuni individui presso la staccionata e aver udito tre spari provenire da lì. Ma cosa c’entra con il 9/11? È un paradigma, che scredita le teorie del complotto relative al 9/11. È ormai storicamente certo che JFK non fu assassinato da un “killer solitario”, e le prove sono di grande evidenza. Al contrario, le teorie del complotto sul 9/11 si basano su speculazioni arbitrarie riguardo a fenomeni “fisici” complessi e difficilmente esperibili, riproducibili, predicibili.

LAISSEZ FAIRE

Te lo ricordi, avevi letto tutto. Era accaduto prima del 9/11. Ne hai sentito parlare solo dopo. È un caso strano. Sembra una prova generale. Sa di prequel. Si collega ad una storia di uniformi da pilota civile, con tanto di documenti di riconoscimento e pass, rubati in un hotel di Roma. Un fatto strano.

Egitto, 1999. Un aereo della compagnia di bandiera si schianta in mare. Le registrazioni della scatola nera: il pilota impreca. Non impreca. Invoca Allah. Ufficialmente per chiunque, ma non per il governo egiziano, se è trattato del suicidio del pilota. Caso 0 nella storia dell’aviazione civile mondiale. Chissà quanti hanno drizzato le orecchie, quando è accaduto.

Solo appunti, ritagli da wikipedia, segui i link, vai ai documenti originali. Trova uno straccio di conferma. È il passaggio importante. Come ai tempi di JFK la CIA gira la testa dall’altra parte. Non se lo sono fatti da solo – in qualche modo – hanno lasciato che accadesse. Mesi dopo, costruiranno le prove per collegate tutto a Saddam Hussein. Verrà fuori a guerra in corso, che le prove erano tutte false. Laissez faire. È il loro marchio di fabbrica. Let it be. È il loro modus operandi. Lascia che accada, indirizziamo la storia verso il Nuovo Secolo Americano, la grande mangiatoia. La guerra ci nutre, la guerra ci da un motivo, la guerra giustifica le nostre note spese. È il complesso militare-industriale. Sono loro che dicono cosa deve accadere.

«Il 23 agosto (…) il Mossad consegna alla CIA una lista di 19 nomi (in cui è incluso anche Atta) di presunti terroristi in procinto di compiere un attentato.»

«Atta mette piede negli Stati Uniti per la prima volta il 3 giugno 2000 all’aeroporto di Newark (…) La CIA interrompe le proprie azioni di sorveglianza su Atta a partire dal giorno del suo ingresso negli Stati Uniti.»

«I bagagli di Atta non sono stati imbarcati sul volo AA11, a causa di un leggero ritardo del volo della Colgan Air da Portland a Boston.»

Grazie a questi documenti, che descrivono l’attentato nei minimi particolari, abbiamo dipinto l’affresco che chiamiamo verità. Siamo stati molto fortunati.

«L’Ispettore Generale della CIA (…) estremamente critico nei confronti dei funzionari anziani della CIA per non aver fatto tutto ciò che era possibile (…) non essere riusciti a fermare due dei dirottatori dell’11 settembre, Nawaf al-Hazmi e Khalid al-Mihdhar, al loro ingresso negli Stati Uniti, e per non aver condiviso le informazioni su di loro con l’FBI (…) Il rapporto investiga sulle responsabilità del personale CIA prima e dopo gli attacchi: completato nel 2005, i suoi dettagli non sono mai stati resi pubblici.»

 

IL FINALE OBAMA vs OSAMA

Noi europei, noi italiani, soprattutto, abbiamo visto e vissuto troppo, per capire la semplicità e la ragione nei pensieri di popoli più giovani. Siamo cinici, e rotti a qualsiasi rovescio della fortuna, e non conosciamo altra morale se non quella del perdono e quella degli schiavi. Incapaci di tutelare la nostra identità, continuamente sconfitti, soprattutto dai nostri modi, dal nostro opportunismo, non abbiamo più nulla a cui attaccarci e a cui tenere. Epicurei, se perdiamo qualcosa, troviamo l’inganno per non soffrire. Non tutte le persone, non tutte le nazioni sono così. Alcuni, più brutali e pragmatici, più diretti e meno avvezzi a raffinati sofismi, ancora pensano, ingenuamente di poter amare, e dunque odiare, in modo assoluto. È per questo che non capiamo la necessità della vendetta, “l’impossibilità di sottrarsi ad un destino tragico” (sprofondati come siamo nella commedia). Gli Americani avevano bisogno di una vendetta catartica e l’hanno desiderata e festeggiata in modo così esplicito e corale, che noi non riusciamo a comprendere. Noi abbiamo la fede cattolica, e l’istituto della confessione, per non risolvere conflitti che richiedono una scelta. Una scelta richiede coscienza, severità, responsabilità e identità. Non ancora individualisti, colti nel mezzo della decadenza, riusciamo solo ad esprimere apatia e moralismo. Noi abbiamo ancora la capacità di soffrire per qualcosa, unanimemente, coralmente? Non credo. Siamo troppo secolarizzati e moderni e corrotti. Ma in queste condizioni, non andrei a giudicare gli altri come “assassini”, quando rimettono a posto le cose, chiudono un cerchio, concludono una storia, drammaticamente parlando. Obama ha dovuto uccidere Osama, e buttarne il corpo in mare, perché un altro epilogo non era possibile e non era giusto. Gli Israeliani catturarono uno ad uno i criminali di guerra nazisti che il mondo celava alla loro vendetta/giustizia. E loro andarono a prenderseli. Perché è così che deve andare.

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2 Comments

  1. Dr Robert settembre 12, 2011 Reply

    Bravo Luca, condivido ogni singola parola! Finalmente qualcuno (che conosco personalmente intendo) che nero su bianco si schiera contro le “affascinanti”tesi del complotto.
    Un’ altra ipotesi complottista sosterrebbe che certi ufficiali molto alti in grado sarebbero colpevoli di eccessivo lassismo nei controlli, mancata comunicazione di informazioni e soprattutto di aver ignorato diversi rapporti da parte di agenti operativi “sul campo”.
    Si dice che dopo la catastrofe siano stati promossi di grado senza essere indagati, è vera o no questa cosa?
    Un salutone!

  2. Francesca settembre 12, 2011 Reply

    (Commento su Obama VS Osama): inneggiare all’uccisione, all’omicidio mi è sembrato eccessivo e di cattivo gusto. Un gesto fine a se stesso. Un gesto che non ha fatto altro che alimentare il senso di violenza che caratterizza la nostra società occidentale e sul quale siamo obbligati a sguazzare (sovente senza nemmeno accorgercene). In quel frangente, Obama mi è un po’ scaduto.
    In quanto al resto dell’articolo, condivido appieno.

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