palestina veto stati uniti

di Valentina Parasecolo

Una delle priorità sull’agenda politica di ogni amministrazione americana è (almeno negli intenti) trovare la cura per la ferita insanabile e sempre aperta che attraversa un lembo del Medio-Oriente. Da decenni il conflitto tra israeliani e palestinesi è una delle questioni più roventi tra quelle che i presidenti/mediatori hanno tentato di temperare: una risoluzione sarebbe non solo un passaggio chiave per la politica estera ma una storica medaglia al petto per qualsiasi presidente statunitense.

Tuttavia gli strumenti diplomatici e i tentativi di negoziare la pace soggiaciono regolarmente a logiche precise che si reiterano nel tempo e che sono trainate in primo luogo dalle spinte lobbistiche israeliane a Washington. Il risultato è che la volontà statunitense di risolvere lo scontro è fittizia.

Davanti alla richiesta di ammissione della Palestina come 194^ Stato membro, e dunque sovrano, delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno annunciato il veto, con conseguente stupore o ulteriore disincanto dei pro-Obamiani: «La pace in Medio Oriente si ottiene con i negoziati, non con comunicati o risoluzioni dell’Onu». Negoziati che durante la sua stessa amministrazione si sono dimostrati solo ottimi strumenti per temporeggiare e permettere a Israele di perpetrare la sua sovranità “de facto” nei territori occupati.

La decisione è sostanzialmente coerente con la prassi del passato. L’elenco dei veti americani al Consiglio di sicurezza per proteggere la posizione israeliana è infatti enorme. Recentemente (lo scorso febbraio) Obama è ricorso al veto su una risoluzione del Consiglio di sicurezza che nella parte centrale si opponeva all’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Arginare l’avanzata è la posizione ufficiale degli Stati Uniti. Ma Obama ha comunque posto il veto.

Il primo risale al gennaio 1976. La risoluzione al Consiglio di sicurezza, voluta da Siria, Egitto e Giordania, incorporava la formulazione di base delle Nazioni Unite 242, che è notoriamente e almeno in teoria la base di tutte le richieste successive per il raggiungimento della pace: ritiro delle truppe israeliane (dai territori occupati nel corso della guerra dei sei giorni) e riconoscimento reciproco degli stati. Gli Stati Uniti hanno posto il veto. E di nuovo nel 1980 su: “Condanna della politica di Israele per le condizioni di vita del popolo palestinese”, “Condanna per la non applicazione dei diritti umani nei territori occupati” e “Affermazione del diritto di autodeterminazione per i Palestinesi”.

Secondo Noam Chomsky varrebbe la pena dare uno sguardo al sito di Obama durante le elezioni.  Una sezione sul Medio Oriente che già la diceva lunga sui possibili sviluppi di quanto sarebbe accaduto dopo: “It’s full of, you know, adoration of Israel. You expect that. Practically not a word about the Palestinians, a few phrases saying maybe they should have some rights. But that was right in the middle of the latest Israeli invasion of Lebanon in 2006, a brutal, murderous invasion, without any credible pretext—you can go into that—actually, the fifth such invasion”.

Ancora, quando tra fino 2008 e gennaio 2009, Israele ha attaccato Gaza, gli Stati Uniti hanno bloccato gli sforzi al Consiglio di sicurezza per stabilire un cessate il fuoco che ponesse fine alle atrocità. L’opinione di Obama a riguardo? “C’è un solo presidente. Io non posso dire nulla”. In realtà, dietro a quel nulla c’erano un bel po’ di cose: una versione malintesa del concetto di sovranità, la retorica ambigua sulla negoziazione e una complicità colpevole con le barbarie di uno Stato puntualmente rassicurato dallo scudo insanguinato del veto.

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