contrappunto - quello che non è successo alle primarie

di Paolo Gervasi

Per quanto il giudizio sull’esito delle primarie del centrosinistra possa essere turbato da dubbi e incertezze, forse è possibile fare un po’ di chiarezza su ciò che sicuramente non è successo domenica scorsa, e la domenica precedente. Per cominciare: alle primarie non è stata respinta l’innovazione. È stata respinta, semmai, una stucchevole retorica nuovista, che delega a un linguaggio casual per eccesso di sciatteria, e all’esibizione di qualche accessorio tecnologico, il compito di rappresentare la velleità del nuovo. Alle primarie non è passata l’idea che innovare significhi scorrazzare con superficiale disinvoltura tra Dante e Twitter.

Le primarie, poi, non le hanno perse due “grandi comunicatori”, il twittatore seriale Renzi e il guru Gori. Le hanno perse due comunicatori che hanno sbagliato strategia, per ragioni tecniche spiegate con finezza da Giovanna Cosenza. Respingendo il concetto di rottamazione gli elettori delle primarie hanno rifiutato di assistere a una riedizione del format dell’uomo nuovo, ripescato da una vecchia campagna di Publitalia. Hanno impedito che si cadesse nuovamente nel tranello della soluzione “esterna” al mondo politico, nell’illusione dell’azzeramento e della nuova verginità, secondo un copione già scritto e disastrosamente interpretato. L’indicazione politica forse più importante che esce dalle primarie è che gli elettori del centrosinistra rifiutano la personalizzazione come risposta alla crisi della rappresentanza. Rifiutano le semplificazioni, e le soluzioni che promettono di sciogliere tutti i nodi con un solo colpo di spada. Accettando l’idea che esistano complessità alle quali non è possibile dare risposte perentorie. Scegliendo la prospettiva, certo discutibile e da discutere, di un’attesa paziente che non esclude il compromesso (sperando che il compromesso escluda almeno Casini).

Alle grandi crisi paradigmatiche, quale è quella che stiamo attraversando, l’Italia ha risposto spesso con il ricorso all’uomo forte, capace di concentrare su di sé il potere decisionale e simbolico per guidare il Paese attraverso i processi dolorosi, e difficili da decifrare, della modernizzazione. Gli elettori di centrosinistra per il momento hanno indicato di voler affrontare senza la tutela di un Grande Timoniere questa crisi che sta ridefinendo radicalmente il sistema economico, lo stato sociale, le forme della rappresentanza e perfino il concetto stesso di democrazia. Tra tante incertezze non è da escludere che gli elettori abbiano voluto indicare, timidamente, che si possa “fare qualcosa di sinistra”, o anche soltanto di “politico”, senza ricorrere alla falsa radicalità delle soluzioni sfasciste.

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