il Bureau - la Rivolta dei Forconi - testata

di Ilaria Raffaele

Alcuni messinesi chiamavano già il supermercato di Gazzi “russo” perché ricordava i negozi dell’est prima del crollo del muro di Berlino: è poco fornito e frequentato solo da chi abita lì vicino e non ha modo di spostarsi
verso il centro. Ora, però, rischia di svuotarsi del tutto. Così come le pompe di benzina di Palermo, dove
già si è scatenato il mercato nero delle poche scorte agricole. Fare la fila davanti al benzinaio ormai non serve
a niente in tutta la Sicilia: si rischia che dopo ore di attesa in macchina il turno arrivi quando il carburante è già
finito. Il motivo è una protesta che va avanti da giorni e che potrebbe continuare a oltranza. Raffinerie, porti, strade e bivi autostradali: questi gli obiettivi della rabbia del “movimento dei forconi”. Era il 21 luglio quando è nata la sua pagina Facebook, ma per cinque mesi i suoi cortei hanno sfilato nel silenzio dei media.

A scendere in piazza sono autotrasportatori e imprenditori agricoli oppressi dal caro-benzina, ma ben presto si sono affiancati a loro operai, studenti e piccoli artigiani. Il loro blocco rischia di mettere in ginocchio la Sicilia, già provata dalla crisi. Hanno ragione da vendere, secondo la maggior parte della popolazione. Un tasso di disoccupazione giovanile del 30,1% e una situazione economica che solo per il 2,18% dei siciliani si può affrontare con facilità sono diventati insopportabili. Gli esponenti del movimento non si preoccupano dell’appoggio della popolazione, convinti che la fame unisca tutti intorno alle loro rivendicazioni.

Ma chi sta portando il vessillo della protesta? I leader del “movimento dei forconi” sono i Morsello, padre
e figlia dalle idee politiche opposte – lui socialista, lei di Forza nuova – che però concordano su una cosa: la
rivolta contro una classe dirigente lontana dai bisogni della popolazione è sacrosanta. Martino Morsello è
un personaggio di spicco del Psi siciliano negli anni ‘80, uomo di fede anti-mafiosa che ha lottato con l’allora
procuratore di Marsala Paolo Borsellino per lo scioglimento del comune infiltrato dalla criminalità. Per questo
quando il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello ha denunciato la presenza nel suo movimento
di «realtà criminali organizzate che mirano a far saltare tutto», lui ha perso le staffe (ascolta l’audio sotto all’articolo). E ha iniziato uno sciopero della fame finché Lo Bello non farà i nomi di chi ha messo in giro la voce che dietro ai forconi ci sia la mafia. La politica locale è al centro delle loro critiche. Chiedono la testa del presidente Lombardo più che quella di Monti: «La Sicilia è Regione a statuto speciale, il governo centrale può poco per risolvere i nostri problemi».

È una situazione complessa, quella siciliana. Per chi conosce la tipica indolenza di un popolo abituato ad
essere sottomesso per secoli, è difficile credere che questo sia un vero punto di svolta. Sarebbe un momento
epocale. Troppo per avvenire in così poco tempo. Inoltre è risaputo che la mafia cerchi consenso. E potrebbe
essere questo il motivo di un appoggio delle “famiglie” al movimento. Un sostegno certamente non voluto da
chi ha scelto di aderire alla protesta in tutta libertà, ma che se fosse appurato getterebbe ombre inquietanti
sulla rivolta e sul futuro della regione. La Direzione distrettuale antimafia di Palermo ha aperto un’indagine. I precedenti non lasciano ben sperare: da Garibaldi allo sbarco degli Alleati nel dopoguerra, la mafia non ha perso occasione per indirizzare le vicende politiche siciliane. Il motto è noto: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

Intervista a Martino Morsello:
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