OPS, IL CAPO E’ STATO LICENZIATO

jill

di Valentina Parasecolo

Jill Abramson non è più il direttore del più importante quotidiano del mondo, il New York Times. Il successore, Dan Baquet, ha definito in privato la sua direzione “il regno del terrore”. Parole che trovano riscontro nelle motivazioni date dall’editore. Arthur Sulzberger Jr. ha dichiarato di averla licenziata per l’arbitrarietà delle sue decisioni, la mancanza di coinvolgimento dei colleghi, la comunicazione inadeguata e le cattive maniere con i suoi sottoposti.

Da italiana, questa spiegazione mi colpisce molto. Nel nostro Paese ancora dilaga la gestione organizzativa del lavoro su base gerarchico/piramidale e i vertici preferiscono il ‘divide et impera’ vecchio stampo rispetto a una leadership motivazionale (v. Morelli in un pezzo dedicato al nonnismo nel Masterchef italiano). L’incapacità di fare squadra troppo spesso non è un demerito, ma è un vanto da perseguire strategicamente. O egoisticamente.

Da noi, se contribuisci a erodere l’entusiasmo e la capacità produttiva in interi ambiti professionali fai comunque parte della classe dirigente del Paese. Altrove, se non coltivi le risorse, vai a casa. O meglio, ti ritrovi a confrontarti con quelli che il giorno prima, al più, erano i tuoi stagisti. Come è successo alla nostra Jill che, in un’Università americana, nel suo primo discorso pubblico dopo il licenziamento, ha commentato amaramente: “Perdere il lavoro che si ama fa male. Cosa farò? Non lo so! Sono esattamente sulla vostra stessa barca.” Fantascienza.

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