LAPIS
 – I TIC, I LAPSUS E LE STORTURE DELLA LINGUA SOCIALE

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di Matteo Pelliti

Lapis #0
Il livello di udibilità delle stronzate nel discorso pubblico si è indicibilmente alzato, e questo è un male. Non sorprenda l’uso di un termine triviale, proprio inaugurando una nuova rubrica di indagini linguistiche, perché fa riferimento al bel titolo di un libretto apparso qualche anno fa, On Bullshit, del filosofo americano Harry Frankfurt, pubblicato in Italia con il titolo di “Stronzate. Un saggio filosofico”. Ora il problema non è più l’ammissione della sovrabbondanza di stronzate presenti nella comunicazione (politica, culturale, pubblicitaria…) ma il loro riconoscimento. Poiché quando la stronzata viene rivestita dal politicamente corretto e appare già stigmatizzata come tale all’interno del flusso mainstream dei media, allora è già troppo tardi: il livello di udibilità si è alzato troppo, e gli infrasuoni, i quarti di tono, per così dire, nell’audiometria dei non-sense delle stronzate vanno persi, nessuno li percepisce più come tali. Lapis andrà in cerca di questo non-più-percepito del linguaggio comune, portando in dote, fin dal titolo, la sapienza di uno tra i maggiori filosofi del linguaggio del Novecento italiano, Antonio De Curtis (in arte Totò), i cui lapsus verbali (da lui detti “lapis”) ancora ci allargano il cuore.

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