Le quattro vite di Nanni Moretti

il bureau - nanni moretti

di Alberto Gioffreda

Dallo splendido quarantenne di ‘Caro Diario’ al sessantenne ormai riconosciuto profeta (il Papa che si dimette sulla falsariga di ‘Habemus Papam’ e sette anni a Berlusconi anticipati ne ‘Il caimano’). E’ successo questo negli ultimi vent’anni a Nanni Moretti, che arriva ai sessanta d’età in piena e continua evoluzione,  aiutato dalla coincidenza tra eventi storici e i racconti delle sue pellicole, non solo quelle più recenti.

Per capire come il tempo abbia cambiato il regista e l’intellettuale vicino alla sinistra ma pronto ad allontanarsi con un girotondo dai vertici di partito, bisogna partire da ‘Io sono un autarchico’ ed ‘Ecce bombo’. Rottura dei canoni, emancipazione, via il vecchio dentro il nuovo. Una sorta di Matteo Renzi da nouvelle vague, che non si tira indietro quando si tratta di scontrarsi con un mostro sacro come Mario Monicelli durante una puntata di Match, sotto gli occhi dello scrittore Alberto Arbasino: “cerco di fare film che piacciono a me, che sono film che possono essere capiti. Poi io non cerco il successo indiscriminato. Pensi  che il cinema abbia per forza bisogno di grandissimi nomi? Penso che voi abbiate un rapporto un po’ coloniale con il pubblico”.

Se ci fossero state al tempo le primarie del cinema italiano probabilmente Nanni Moretti avrebbe perso e ripiegato su di se, senza dimenticare mai quello che gli stava intorno, raccontando quello che inseguiva e che voleva dalla politica, almeno da quella che riteneva essere la parte a lui più vicina. Ed è quello che ha fatto nei panni di Michele Apicella regista, professore di matematica o funzionario del Pci deluso, di Don Giulio in crisi di vocazione per amore, o di se stesso. Il filone di ‘Sogni d’oro’, ‘Bianca’, ‘La messa è finita’, ‘Palombella rossa’, ‘Caro Diario’ e ‘Aprile’ è unico. Moretti e l’Italia, la tragedia della sinistra e i trentenni tra la fine degli ottanta e gli inizi dei novanta che non sanno più dove stare (tema attuale ora come allora e che risucchia anche i quarantenni), i difetti della Roma piccolo borghese e le gioie familiari. La macchina da presa è puntata su di lui ma Moretti racconta con sarcasmo un paese, così come avevano fatto registi della generazione precedente che aveva criticato.

E quando questo filone sembra essere quello che può garantirgli un posto al sole per sempre nel cinema italiano, Moretti cambia. Abbandona lo sguardo sull’attualità e spunta fuori con qualcosa di nuovo per lui, ma non per il cinema e che forse delude i morettiani duri e puri. Il regista si confronta con la morte, nel film ‘La stanza del figlio’. Rapporti familiari e dolori senza però arrivare a piagnistei da programmi televisivi pomeridiani. E nello scarto che c’è con i suoi film precedenti Moretti trova anche il riconoscimento internazionale, con la vittoria della Palma d’oro a Cannes.

Ma è un’incursione breve, una pausa che dura poco. La critica e l’analisi ritornano, nello stile girotondino che lo aveva quasi reso un leader politico ai primi del duemila con ‘Il Caimano’. E’ il suo editoriale su Berlusconi. Il giudizio di come dovrebbe essere e di come non era all’epoca, e forse, Cassazione permettendo, di come sarà. Si sollevano critiche, pochi giorni alle elezioni e il film è nelle sale ma non sposta nulla nelle urne. Moretti è campione d’incassi ma nelle urne Berlusconi stravince. Chi frequenta le sale  probabilmente ha deciso di non votare. Il passaggio successivo sembra archiviare decisamente la stagione del Moretti impegnato, ma solo in apparenza: ‘Habemus Papam’, forse stilisticamente pretenzioso ma congiunge le due anime morettiane. I giochi di potere vaticani si mischiano alle perplessità e ai dubbi dei comuni mortali che possono toccare anche un Papa appena eletto. E poi, dopo due anni, arrivano le dimissioni, quelle vere, di Ratzinger. Moretti viene cercato da tutti, gli chiedono come mai tanta intuizione. Lui si definisce solo sbalordito. Adesso tocca attendere la prossima vita morettiana: intimista, sociale o rivelatrice, sarà solo ‘Margherita’ a dirlo.

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