il bureau - ingroia 2

di Paolo Costa

Antonio Ingroia, dietro forti pressioni da parte di vari partiti e vari sostenitori, pare essere intenzionato a candidarsi alle prossime elezioni politiche. Non come semplice deputato, ma come candidato premier di una lista che raccoglie in sé numerose formazioni politiche, collocabile comunque alla sinistra di SeL nel panorama politico italiano.

Ingroia è di per sè uomo eccezionale. Considerato l’erede di Paolo Borsellino, è custode della memoria storico-giudiziaria del suo maestro e ha condotto, prima di partire per il Guatemala in missione Onu, una delicatissima inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia risalente agli anni ’90. Persona stimabile, onesta, determinata, un modello per coloro che portano avanti la lotta contro le mafie.

Nell’ultimo decennio molti magistrati, sopratutto quelli impegnati in processi particolarmente sensibili per l’opinione pubblica, sono stati continuamente screditati al fine di delegittimare il loro lavoro, con l’accusa di avere un movente politico-ideologico per condurre determinate indagini. Questo è un sospetto ignobile, che i cittadini non possono nutrire.

Cosa succederebbe se Ingroia si candidasse? I suoi detrattori, quelli che per anni hanno sostenuto che ci fossero intenti persecutori dietro le proprie inchieste, potrebbero sostenere facilmente che il suo lavoro fosse politicamente orientato, ai danni di ben identificabili soggetti. Questo, dal punto di vista della lotta antimafia, costituirebbe un danno enorme, se non altro perché rischierebbe di delegittimare la più importante indagine dell’Italia repubblicana sulla collusione mafia-politica ai massimi livelli.

Purtroppo, molte delle forze politiche che sostengono la necessità della candidatura di Ingroia, dietro la più nobile intenzione di dar voce all’interno del Parlamento di una persona di tale livello, nascondono il reale timore – per non dire la quotidiana angoscia – di scomparire definitivamente dal panorama politico, in mancanza di una personalità di spicco che li traini. Accecati da questo obiettivo, sarebbero disposti a sacrificare la neutralità di un giudice titolare di tali inchieste, fatto che, come già detto, costituirebbe un grande danno per il Paese.

Concludendo, già in passato abbiamo avuto abbondante esperienze di magistrati che si son dati alla politica, con i risultati che oggi possiamo vedere. Siamo certi che l’impegno politico diretto sia il modo migliore, per un magistrato, di far valere le proprie battaglie condotte nelle aule giudiziarie?

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