La corporation non esiste in Italia - 2

Riassunto della PARTE I:

L. R. (io) ha avuto la brillante trovata di intervistare quella che pomposamente si ostina a chiamare “la fonte anonima, la talpa”, una sorta di fan di Johnny Cash in disarmo, che senza addurre motivazioni oggettive, ha deciso di “cantare” (sic.) e raccontare a ilbureau come stanno le cose a proposito di capitalismo, Italia & multinazionali. Se vi era sembrata farneticante la prima parte, aspettate di leggere la…

PARTE II.

Tutti dicono che l’Italia deve puntare su prodotti di qualità, sul know how, sulla diversità delle cose che sappiamo fare.
Dieci anni fa la Siemens faceva le memorie dei computer in Italia. Costavano di più, ma se c’era un problema, sapevamo risolverlo meglio che i cinesi, che oltre a fare le saldature, non ne sapevano un cazzo. Oggi le informazioni e i segreti circolano alla velocità della luce. Solo un provinciale può credere che il suo know how non verrà preso, imitato, copiato, assimilato e infine migliorato. A meno che non crediamo davvero che gli altri siano tutti ebeti e noi dei geni.

Quando parli, sai che esiste, ad esempio, il nord-est, in Italia?
Immagino che in provincia di Venezia ci sia un tizio che fa delle porcellane straordinarie, con una tecnica fantastica e che ci siano nuovi ricchi cinesi pronti a pagare cifre immorali per le sue tazze del cesso. Suppongo pure che metà dei suoi operai ormai siano cinesi, e che in Cina ci sia un imprenditore che vuole quel business. Potrebbe mandare i suoi designer a formarsi in Italia, acquisire il gusto, magari fonderlo con quello cinese e creare un nuovo stile di tazze del cesso. Potrebbe segare le fondamenta della fabbrica e trasferirla di peso in una cazzo di provincia cinese. Se non sta già accadendo, accadrà tra poco. Auguri.

Ma il nord-est è…
Senti, sul serio. Sono dei bottegai. E il mondo è pieno di altri bottegai che prima o poi li fregeranno. Sono dei leghisti, sono ottusi. Non valgono un cazzo neanche come razzisti. Andando in giro avrai notato che c’è un gran bisogno di rimescolare i geni e il sangue. Abbiamo bisogno degli immigrati: i nostri figli hanno capelli che sembrano peli pubici, sono sempre più tarchiati e tarati. Hanno una pella orrenda, bianchiccia e bucherellata. Sai perché?

No… Perchè?
Grazie per la domanda. Scadente materiale genetico. La consanguineità ci sta fottendo. Stiamo marcendo. Siamo poco meno che finiti. Dobbiamo rimescolarci.

Un passo indietro. Parlavi di Italia pre capitalista. Ci hai spiegato, da insider, come l’italianità sia in grado di depotenziare il modello delle multinazionali, che prolifica ovunque. Qui no. Addirittura non siamo adatti al capitalismo, ora. Non esageri?
Quando le potenza europee si diedero al colonialismo, esportarono le istituzioni e le burocrazie in posti che non ne avevano bisogno: ne nacque una interpretazione perversa. È il paradigma dell’anagrafe nella savana: mamma e papà zulu ci vanno, ma dopo anni, con calma, a registrare i figli. Scrivono le date a caso. E comunque tornare indietro a controllare è un casino, perché l’ufficio sta in mezzo al territorio di caccia dei leoni.

Cosa c’entra con l’Italia?
A Roma c’è una grossa via che si intasa perchè il 50% della carreggiata è dedicata ai mezzi pubblici. In Inghilterra, ha senso. Da noi no. Hai mezza strada intasata e mezza strada vuota: quella dedicata ai bus. Perché i bus non passano. Non ce ne sono. Questo è il risultato per aver scimmiottato un posto civile, senza esserlo.

Dunque, tra le righe, stai dicendo che anche il capitalismo e il liberismo sono stati importati in Italia in modo artificioso, che la nostra natura è diversa?
Non so se ai tempi dei comuni o nel rinascimento fosse cosi. Io sono vivo oggi. Oggi gli italiani ignorano e osteggiano il concetto di responsabilità e non sanno prendersi rischi. Noi trasformiamo quel modello, quello imprenditoriale, fino a farlo diventare somigliante ad una rendita feudale, un monopolio. Vale per i tassisti e per le carrozzerie, per le tabaccherie e anche per le grandi fabbriche. A noi io rischio di impresa non piace. Piace succhiare le tette marce del welfare finché non si seccano. Ci piace avere un feudo e percepiamo gli altri come vassalli o servi della gleba. Sviluppiamo modelli parassitari e anti concorrenziali.

Medioevo, servi della gleba. Tu sei un precario?
Quello che davvero importa, non è se io sia o meno un precario, ma perché lo sono. Oggi una multinazionale, o meglio, una consorella che deve render conto ad una casa madre, assume precari e interinali. A conti fatti, costano di più di un tempo indeterminato.

Ma scusa, non prendono i precari perché costano meno?
No. Non gliene fotte a nessuno che costino di meno. Uno stagista costa un terzo di un coffee break per manager a metà di una riunione importante.

E allora? 
C’è la crisi. Non si riescono a fare introiti. Il guadagno viene tutto dai tagli. Si taglia personale. I manager vengono premiati, retributi, in base agli affari portati a casa, al fatturato, e ai tagli, ai risparmi che realizzano. Oggi non riescono a fare business.Puntano tutto sul risparmio. Sfortunatamente, un interinale e tempo non finisce nel bilancio alla voce risorse umane, ma conta come un tavolo o un nuovo computer. Risulta sempre gli obiettivi di taglio di personale vengono raggiunti: il manager si becca un premio. Ma a conti fatti, l’azienda ha speso di più.

Ora sei tu che descrivi un mondo di tonti. Quelli della casa madre, lo sapranno come lo sai tu. Perché dovrebbero accettare questa pantomima?
Se esistesse fisicamente un padrone dell’azienda, un vecchio Mr. Smith, è ovvio che prenderebbe il primo aereo e verrebbe a fare un massacro con una motosega. Ma oggi non è il 1839, e le aziende hanno amministratori, non padroni. A nessuno gliene frega un cazzo. Puntano al loro pacchetto di stock options e premi e poi se ne vanno a far danno altrove. Non è mica un caso che aziende come Google e Apple galoppino: il padrone che le ha fondate, è vivo, e tiene alla sua creatura. Non permettono che dei vampiri dissanguino le loro bimbe e poi scappino nelle tenebre della notte della finanza.

Riassumendo, e prendendo te come anonima fonte affidabile, cosa su cui francamente rimango restìo, le cose starebbero così: in Italia non c’è gente, o non ce n’è abbastanza, per far girare gli affari nel modo giusto. Le nostre industrie e le nostre imprese sono… 
…destinate alla catastrofe. E appresso il tessuto sociale che dipende da esse. La nostra generazione è fottuta.

Il disastro totale.
Io per disastro totale intendo dire un drastico ridimensionamento del tenore di vita. E da occidentale, mi sembra una condanna a morte per impalamento.

Giornalisticamente parlando, sembrano le farneticazioni di un impiegato arrabbiato.
No, al contrario, io adoro il mio lavoro. O meglio, io odio il lavoro. Da quando ho cominciato l’ho subito considerata una attività degradante e umiliante per qualsiasi individuo vagamente istruito e consapevole. D’altra parte, è bello essere qui, e vedere le cose mentre accadono, osservarle da dentro. È come fare il mozzo su una nave mercantile della Compagnia delle Indie. Tutti dovrebbero provare ad avere una lista contatti di Outlook con migliaia di persone.

I giovani in Italia passano la vita a fare le fotocopie e a portare caffè ai capi di fumose agenzie pubblicitarie.
C’è la più grande crisi dai tempi del 1929. Qualcuno credeva che questo non avrebbe avuto conseguenze reali sulla nostra vita? Chiunque è entrato nel mondo del lavoro in questi anni, guadagnerà per tutta a vita un terzo di meno che i pari grado del decennio precedente. Anche io.

E’ un dramma.
Mi sono rotto i coglioni, voglio andare a casa.

Dubito che questa conversazione vedrà mai la luce su ilbureau.com. Sono deluso. Avrei voluto che tu avessi fatto qualche vera rivelazione, da insider. Tipo report.
So molte cose, ma me le porterò in un cottage su un’isola del mare del nord, dove mi ritirerò a intagliare i tronchi di legno portati a riva dalla corrente.

Bene. Grazie.
No, grazie a te. Il pranzo lo offri tu. Sono cinquanta euro, due martini e due insalate.
Vorrei dire che valeva il prezzo del biglietto, ma non è così.

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