il bureau - Bobi Raspati - Note Dolenti

di Bobi Raspati

Memoria, immaginazione e musica. Chi ci segue avrà ormai appreso che la nostalgia costituisce la via maestra della musica d’oggi. Nostalgici i musicisti, aggrappati a stilemi e suoni di un passato idealizzato e mitico, spesso nemmeno vissuto in prima persona ma soltanto pensato. Nostalgici noi, concentrati sul nostro gusto come se non ci fosse altro presente oltre a quanto siamo stati. Quel che rende rilevante tale continuo ruminare è che la musica, rappresentazione e metafora del mondo, non è che il riflesso di fenomeni sociali più ampi. Un sacco di parole, ma non sappiamo descrivere che il nostro passato. Un sacco di tecnologia, ma non sappiamo che mettere in dispensa i ricordi delle nostre giornate per cibare nostalgie future.

Leyland Kirby è un musicista inglese la cui carriera è stata in larga parte dedicata allo studio delle musiche altrui, trangugiate e risputate attraverso macchinari e computer. Per anni ha agito sotto il nome V/Vm, dedito alla manipolazione di brani arcinoti o invece sommersi del pop inglese, strizzati fino a diventare una ridicola poltiglia. Se i dischi pubblicati col proprio nome, il bel Sadly, the Future Is No Longer What It Was così come il recentissimo Eager to Tear Apart the Stars, sono composizioni astratte per sintetizzatore e piano, il progetto The Caretaker è invece caratterizzato dai campionamenti di brani anteguerra.

Diversamente dalle consuetudini dell’hip hop, nella musica di The Caretaker i campioni sono l’ingrediente sonoro principale, e talvolta il solo, lasciato a marinare sotto litrate di fruscii e crepitii. Idealmente parente dei collage di The Focus Group e dei drone di William Basinski, la sua è un’elettronica slabbrata e senza beat. O meglio ancora un’ambient satura di simulacri del passato e di ricordi più filmici che reali. Il segno distintivo del progetto è che tutti i brani paiono suonati attraverso un grammofono scassato, coi vinili piegati dall’umidità, ricoperti di graffi e polvere. La melodia trafugata è lasciata intatta, sebbene spesso deformata e infine deviata dall’andamento originario attraverso mille reiterazioni.

Laddove gli album precedenti (segnaliamo Persistent Repetition of Phrases e An Empty Bliss Beyond This World) erano zeppi di loop dal jazz dixieland, ottusi e svuotati come a cullare una sala da ballo di morti di sonno, il nuovo disco di The Caretaker è costruito sui ritagli della Winterreise di Schubert. Colonna sonora di un documentario sullo scrittore Winfried Sebald, è forse il disco più scarno del già malinconico Kirby. Dodici brani per quasi cinquanta minuti di musica, tutti o quasi avvoltolati in un singolo loop di pianoforte: si va dalla pioggia scrosciante di ‘Everything Is on the Point of Decline’ ai rintocchi di ‘Isolated Lights on the Abyss of Ignorance’, passando per i tremolii di ‘The Homesickness That Was Corroding Her Soul’ e per il Satie demenziale di ‘Increasingly Absorbed in His Own World’. La tecnica di campionamento esibisce con fierezza quelle imprecisioni che imbarazzerebbero i dj ingenuotti – prova ne sia ‘When the Dog Days Were Drawing to an End’, con un taglio del tutto aritmico e un gorgheggio vocale troncato a metà sillaba.

Evocativa o noiosa da morire a seconda delle prospettive e delle abitudini di ascolto, questa musica è programmaticamente poverissima e sfibrante. Retrò come un paio di baffi a manubrio, il suo fascino sta tutto nel saper evocare un immaginario fasullo, nel costruire sui saliscendi della nostra memoria acustica un paesaggio apparentemente coerente, caldo e domestico seppur digitale. Lume per letture appassionate o materasso per dormite colossali, comunque si caschi la proposta di The Caretaker è un simbolo dell’elettronica contemporanea: dopo decenni di prospettive futuristiche è l’ora delle rimembranze.

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