I nostri 15 anni

di Valentina Parasecolo

Per spiegare perché andiamo a rotoli, parto al solito dalla provincia. Crescere in una piccola cittadina mette spesso a contatto diretto con le miserie umane. Le opportunità mancano e i rapporti sono poco diluiti: la gente si annoia fino all’osso e deve farlo guardandosi in faccia e a guardarsi in faccia ci si annoia ancora di più quindi si cerca di parlare ma non avendo nulla da dire si finisce con il dire cose senza senso. Quando non fa questo, si droga. Quando non si droga, impazzisce. Quando non impazzisce, si suicida. La salvezza può passare attraverso: trasferimento, arte e creatività, lavoro intenso, oppure studio.

Nel 2001, io e il mio migliore amico eravamo troppo poveri per cambiare città, troppo penosi per fare i creativi e troppo minorenni per lavorare. Quindi avevamo scelto di studiare come matti e disperati. Ci rimaneva poco tempo per il resto. Ogni tanto, però, quando il tempo c’era, decidevamo di rompere le palle a qualcuno. Meglio, di arrivare al punto. Succedeva, ad esempio, con i leghisti che cominciavano a affacciarsi timidamente anche sulle piazze umbre portando con sé spille, brochure e tanto coraggio. Essendo dei fini intellettuali, profondi fruitori del “logos”, ci avvicinavamo, li lusingavamo fingendo interesse e, a sorpresa, li imbarazzavamo con sofisticate domande mirate a mettere in crisi carta di valori e conoscenze: “Ma se la linea della Padania sta quassù, perché portate volantini quaggiù?”. Era il 2001, avevamo 16 anni, eravamo pieni di coraggio e ci riusciva bene di arrivare al punto.

Un giorno, nella nostra cittadina di provincia, venne a fare un incontro un esponente del centro-destra. In una saletta sopra al teatro, solitamente destinata a saggi di fine anno e alle presentazioni dei libri di Augias, si radunò una platea di uomini entusiasti, adulti e tendenti al fascio per ascoltare le parole di uno dei loro leader. Ci unimmo a loro. Ci chiesero se eravamo di Forza Italia, della Lega o dell’Udc. “Stiamo ancora valutando quale possa essere l’offerta politica più adatta a noi”. In realtà, eravamo solo una nota stonata, o forse lo erano loro. Per tutti meno due quello fu invece un incontro rassicurante. L’esponente diceva quello che il pubblico si aspettava dicesse, loro intervenivano come l’esponente si aspettava intervenissero. Un comizio sullo pseudoliberismo berlusconiano, arricchito da risatine compiacenti e pacche sulle spalle. E cantandola e suonandosela per due ore, arrivò il tempo di alzare la mano. “Ci sono altre domande?” Volevamo di nuovo arrivare al punto e quello era il momento. “Sì! Laggiù… prego…” “Ma più mercato, meno Stato, uguale mucca pazza?“. Non ci furono risposte, non c’era niente da rispondere, sennò bisognava demolire l’Occidente. Ci fu solo tanto imbarazzo (altrui).

Quel noto esponente del centro-destra, a metà di questo mese, a nome del Governo, ha posto all’assemblea del Senato “la questione di fiducia sull’approvazione dell’emendamento 1.2814, presentato dal Governo, interamente sostitutivo dell’articolo unico del disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”. Incapace di dare risposte a chi arriva al punto, l’esponente è ora ministro dei Rapporti con il parlamento. Forse memore di che brutti scherzi può giocare il dissenso, ha assecondato la ormai collaudata pratica del salto a piè pari del dibattito parlamentare. Hai voglia poi a dire che l’opposizione tace. Anche avesse qualcosa da dire, non potrebbe “proferir parola”. Così, mentre gli italiani (di città e di provincia) si lamentavano del caldo mortale e cercavano refrigerio al mare, è passata una manovra epocale per il futuro della sanità del Paese.

I tagli al Sistema sanitario nazionale saranno di 8 miliardi al 2014. Alle Regioni la manovra costerà 29,5 miliardi. Non si esclude la presenza, dietro l’angolo, di assicuratori pronti a fiondarsi sulla carcassa. Tremonti, giustamente preoccupato per il futuro del Paese, invoca la metafora del Titanic che “se affonda, nessuno si salva”. Qualcuno in realtà si salvò ed era della prima classe. L’opposizione parla non a caso di manovra classista, che colpisce i ceti medi, tagliando su famiglia e asili, istruzione e, appunto, sanità. Furiosi i “governatori”, quelli che si oppongo all’aggravamento o al ripristino del ticket, quelli che lamentano la totale mancanza di politiche, quelli che senza risorse decentrate vedono sempre più lontano il federalismo, quelli che temono piani di rientro per garantire in futuro le prestazioni.

Insomma, i presidenti delle Regioni sono ai ferri corti la maggioranza: perché mentre dal palazzo altri tagliano risorse ponendo la fiducia all’ombra della complicità di media sonnolenti, saranno loro quelli che dovranno gestire in prima linea una fase estremamente delicata (per intenderci, le risorse per la sanità costituiscono oltre l’80% dei bilanci regionali). Mentre -al netto della di una discutibile demagogia – sarà una buona fetta degli italiani a dover pagare le politiche “tremontiane” dall’accétta facile: il mostro del debito che ci divora è realtà, ma la sua ombra non giustifica la totale mancanza di progettualità, confronto e idee per il rilancio.

Ecco perché dunque stiamo andando a rotoli. Perché 11 anni fa due scolaretti sedicenni di provincia hanno trattato da coglione uno che oggi, facendo le veci dell’intero governo, vuole trattare da coglioni tutti. Più che da meditare, gente, qua mi pare che ci sia da rivoluzionare. O se non altro, da arrivare al punto. Quello di rottura…

(E dato che i punti di rottura partono dalla coscienza, allego un file sulla manovra, pieno di dati dettagliati, da usare per farsi un’idea precisa su cosa sta succedendo:

Tutti contro la grande stangata – 24 Ore Sanità, settimanale 12-18 luglio)

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