RENZI NON PARLARE CON BERLUSCONI: CI PENSANO I GIORNALISTI

il bureau - marco viviani - il pinguino di herzog

di Marco Viviani

L’Italia è uno strano paese. Molte fra le testate giornalistiche che a più riprese hanno stressato Matteo Renzi per aver individuato Silvio Berlusconi quale interlocutore delle riforme, stanno invitando Berlusconi a più non posso per questa campagna elettorale. L’etica dei giornalisti politici italiani, dei format televisivi di attualità in cerca di audience, è quella che è, ma la morale di fondo della videopresenza del condannato ed espulso Berlusconi è stupefacente: non bisogna parlarci, ma farlo parlare.

In pochi giorni, Silvio Berlusconi è tornato ad occupare le cronache politiche, che in precedenza lo vedevano triste personaggio in cerca di un ruolo, ed è tornato con l’intramontabile stile degli ultimi anni: sparando oscenità e mettendo in fibrillazione la parola data. Le riforme? Non gli piacciono più. I tedeschi? Tutti nazisti. Salvo poi, naturalmente, smentirle, e così le riforme diventano le “sue” e sui tedeschi è stato frainteso.

Bisogna intendersi. Ad una prima valutazione superficiale, il cittadino comune è portato a pensare che invitare in uno studio televisivo un uomo del genere per farlo parlare in qualità di leader politico, come se i suoi trascorsi giudiziari e parlamentari non valessero nulla, sia meno grave che contattarlo per trovare i numeri in Parlamento per attuare riforme di sistema che valgano per il futuro. Le cose stanno proprio così? Forse no.

Il paese dove i giornalisti che criticano il presidente del Consiglio perché parla con ‪Berlusconi‬ poi lo invitano per farlo parlare o ne riportano generosamente ogni boutade è un paese confuso, quando non ipocrita. Perché le ragioni che un giornalista può addurre per legittimare la presenza di Berlusconi in uno studio televisivo sono uguali e inferiori a quelle esibite dallo stesso Renzi: Berlusconi gode di un consenso popolare ancora forte, ha fondato un partito, un gruppo di dirigenti politici e di parlamentari riconosce in lui la persona alla quale riferirsi per le proprie posizioni. Insomma, condannato, discutibile, inaffidabile, ma ancora rappresentativo. E quindi democraticamente esistente. La stessa argomentazione respinta a proposito dell’interlocuzione sulle riforme.

Un giornalista, perdipiù, ha meno ragioni di un presidente del Consiglio per parlare con Berlusconi: al contrario dell’inquilino di palazzo Chigi non ha responsabilità così gravose, non deve turarsi il naso per forza, pensando il più possibile a ciò che si deve fare piuttosto che a quello che si vorrebbe fare. Eppure lo invitano: Vespa, Formigli – che già nella puntata del 30 settembre venne accusato di essersi fatto strumentalizzare – e ne arriveranno altri. Sicuramente. Tutti in fila, aspettando che B. ne spari una delle sue. Fregandosene della famigerata “agibilità politica” che questo comporta.

Il bello è che non funziona: lo share legato alla presenza di Berlusconi sta andando malissimo, le comparsate – anche quelle più lunghe, come nella trasmissione domenicale di Mediaset – non alzano l’audience. Berlusconi, in tivù, oltre a non esserci grandi ragioni perché stia lì, non essendo neppure un candidato ed essendo un frodatore dello Stato (da sentenza definitiva), non funziona. Visto che pare non interessare il fatto che sia un pregiudicato, magari saranno i numeri a ricordare di chi si tratta. Quei numeri che invece, a livello elettorale, ancora ci sono pur essendo in discesa verticale.

Allora la domanda è semplice: Renzi avrebbe cercato Berlusconi se elettoralmente fosse a livello di questi share?

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