il bureau - contrappunto - ne resterà soltanto uno. di scontrino

di Marco Viviani

Per analizzare il voto a dir poco deludente per il Movimento Cinque Stelle, non ci sono molti percorsi possibili. Si riducono a due: leggere il commento bilioso di Grillo sul suo blog e quello capzioso di Travaglio sul FattoQuotidiano, oppure dire che hanno perso. Il movimento non sarà mai il partito di maggioranza relativa di questo Paese. Rallegriamoci.

Non che ce ne fosse il minimo dubbio, essendo chiaro a tutti – fanatici e grulli a parte – che il clamoroso voto di cui aveva goduto il movimento alle elezioni di febbraio era esclusivamente un moto di protesta tipicamente italiano (già visto decine di volte nella storia della repubblica): nessun partito e nessun leader può gestire una miscela destra-sinistra-anarco-reazionaria, perché una volta in Parlamento viene necessariamente inglobata nella grammatica politica e l’elettorato torna istintivamente nel cono d’ombra dell’astensionismo dal quale proviene e che in fondo gli sta bene.

Tra i deputati grillini ci sono state voci di dissenso, qualche sparuto incostante sprazzo di bellezza (cit. Jep Gambardella) subito silenziato sotto il chiacchiericcio trimestrale sugli scontrini e le diarie: uno degli spettacoli più miserabili della storia della politica italiana. Una finzione che, come insegna Pasolini, ha bisogno per continuare a vivere della sua continua rappresentazione.

Essendo falso il teorema per cui la crisi è dovuta al costo della politica, ma avendo garantito tutti quei voti, il M5S non ha potuto fare altro che continuare a fingere che fosse così, che fosse davvero la cosa più importante del mondo. Probabilmente qualcuno di loro era preoccupato, sapeva che gli elettori erano sconcertati, ma nessuno ha avuto la forza di interrompere la commedia. E mentre il governo meno guardabile degli ultimi anni infilava come a biliardo la sospensione dell’IMU, lo sblocco dei pagamenti alle PA (con il M5S follemente astenuto) e trovava un miliardo per la Cassa Integrazione in deroga, dalle parti del web sovrano facevano processi a semi-sconosciuti deputati per essere apparsi in televisione.

Così ci ha pensato, democraticamente, l’elettorato, francamente scocciato da queste inesauribili discussioni (sulle quali è sceso il giudizio anche di Milena Gabanelli, che si è riconquistata lo scettro di giornalista più indipendente d’Italia) a ricordare a Grillo come stanno veramente le cose: quando aveva detto senza senso del ridicolo «ne resterà soltanto uno» avrebbe dovuto pensare che il riferimento, un giorno vicino, sarebbe stato al numero di voti. Quei perfetti sconosciuti senza arte né parte, Beppe, votateli tu.

La finzione è finita. Grillo ha scelto di politicizzare una campagna elettorale amministrativa, dunque la sconfitta è politica, non locale, non da isolare tra le eccezioni. A restare da solo sarà forse lui, presto o tardi (e sarà un grande giorno per il movimento). Sicuramente resterà soltanto uno scontrino: quello del conto caro e salato appena pagato.

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