LE MUTANDE DI COTA E IL CONDOMINIO

il bureau - marco viviani - il pinguino di herzog

Mentre Matteo Salvini cercava di far passare come legittima protesta l’apologia di reato insita nella fiaccolata pro Cota, il governatore del Piemonte che non doveva esserlo stando alla sentenza del tribunale, molti giornali si affidavano a sondaggi online in temporeale oppure a indagini demoscopiche per chiedere a lettori ed elettori cosa credevano che dovesse fare: rassegnare le dimissioni oppure no?

A rassegnarsi, in realtà, dovrà come sempre essere la coscienza civica di questo paese: dai sondaggi è emerso che secondo tutti i campioni rappresentativi Roberto Cota non dovrebbe dimettersi dopo l’annullamento delle elezioni del 2010. Due italiani su tre rispondono, sorprendentemente, così. Ma è davvero una sorpresa? Il motivo di questa risposta è tecnico ed etico: la domanda è posta vincolandola a una sentenza, a qualcosa che arriva soltanto ora, è burocratica, proviene da una istituzione messa nel calderone delle caste: i giudici. Tuttavia, se solo si fosse chiesto – come è stato fatto – se Cota dovrebbe dimettersi per aver comprato un paio di mutande coi soldi pubblici, quegli stessi due/terzi risponderebbero di sì. E lo hanno fatto,poche settimane fa. Solo che se lo sono già scordato.

Il dramma italiano sta tutto qui: un’assoluta mancanza di fiducia in tutto (tranne che nelle forze dell’ordine e nella chiesa, secondo gli ultimi sondaggi, roba da Spagna franchista), l’incapacità di andare oltre il perimetro dei piccoli interessi, delle piccole frustrazioni, e la propensione (sub)culturale a non dare peso alle azioni strutturalmente illecite, come quella condannata dal Tribunale, e a darne moltissimo alla “morale da condominio”. Quella che adottiamo solo nei confronti di coloro che personalmente e comodamente riteniamo responsabili della nostra quotidiana infelicità.

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