I PRATI VERDI DELL’ECONOMIA, COSA ASPETTARSI DALL’ONDATA GREEN?

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di Alessio Dell’Anna

Artigianato, tecnologia, agricoltura, e cura per l’ambiente. Lo storico sapere degli italiani per la terra e le “cose materiali” si reinventa  grazie a nuovi strumenti e nuove tecnologie, e l’Italia degli inventori trova un “green field” -è proprio il caso di dirlo- nella Green Economy. Il 22% delle aziende italiane oggi si definisce “green”, e sta investendo in tecnologie pulite per ridurre l’impatto ambientale: sarà un caso, ma sono le aziende che assumeranno di più nel 2014 nei settori di Ricerca & Sviluppo (61%), le più competitive all’estero, e con un’età media in prospettiva più giovane delle altre (Rapporto GreenItaly 2013). E’ un’ondata di ottimismo che investe tutti i settori, compreso l’artigianato, che perde 120.000 imprese all’anno ma riesce ad aprirne quasi centomila, e confida in nuovo fare innovazione che ibridi digitale e saper fare, talvolta facendo ricerca e sviluppo senza neanche accorgersene.

Solo una moda che, complice Expo 2015 alle porte con la sua carica di innovazione e sostenibilità, sta investendo più o meno tutti, o l’Italia per rilanciarsi può davvero puntare su green e innovazione abbracciando i settori migliori della sua tradizione industriale? Marta Abbà, giornalista e collaboratrice del sito ideegreen.it, è ottimista, ma con qualche riserva: “L’ondata green è indubbiamente importante e sta assumendo dimensioni considerevoli, ma occorre cominciare ad indicare dei parametri chiari per distinguere cosa effettivamente si possa definire green e cosa no. Oltretutto, l’atomismo del tessuto industriale italiano da una parte favorisce il fiorire delle tante start-up, ma dall’altro non aiuta la creazione di un sistema, di una rete, che favorisca una legislazione volta a farlo crescere” .

La riduzione degli incentivi prevista per il 2014 rischia di essere ulteriore deterrente a questa spinta,  e considerando anche che l’Italia sta sposando la causa delle rinnovabili ma è ancora indietro nella costruzione dei macchinari per sfruttarle, i punti interrogativi non mancano: si concepisce l’idea, la  si progetta, ma la realizzazione è spesso appannaggio di gruppi non certo medio-piccoli.

Le  eccezioni però esistono, e non sono poche. Come i ragazzi della Start-Up “Up”, che si sono inventati un modo per trasformare l’energia cinetica scaturita delle automobili in frenata in energia elettrica, piazzando degli speciali dossi “smart”  in prossimità di caselli e rotonde. Sono della Brianza, che peraltro è il primo territorio in Italia per densità brevetti per imprese (43 ogni mille), e il loro settore, quello della “Smart Energy” è quello che occupa il posto più alto in termini di fatturato aggregato nella Green Economy (34%).

Considerando che l’Italia è il quarto mercato al mondo per capacità di attrarre investimenti nel settore delle rinnovabili dopo Cina, Stati Uniti, e Germania, l’occasione non potrebbe essere migliore per avviare un percorso già intrapreso da tanti paesi e per il quale la nostra penisola pare essere fisiologicamente portata. La rivalorizzazione di tanti settori in cui il Made in Italy è l’eccellenza nel mondo passa anche e soprattutto dall’economia “green”. Siamo certo un po’ in ritardo, ma ancora in tempo per prendere questo treno. Perderlo sarebbe un peccato che molto difficilmente potremo perdonarci in futuro.

 

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