Gheddafi

di Luca Riposati

Interno notte. E’ un ristorante thailandese di Parigi. C’è una festa, o un ricevimento, tutti bevono e gli ospiti molti tavoli. Il ristorante è bello, ricercato e pretestuoso, ma con garbo. E’ una giungla con gli acquari e delle vasche e dei ruscelli con dei pesci colorati. La scena si svolge su un ponticello di finto bambù.

– Ciao, finalmente ci rivediamo, ho sentito molto parlare di te.

– Anche io. Mi hanno detto che stai in Egitto, adesso.

– E’ vero. Lavoro lì per diversi mesi l’anno. Faccio il reporter.

– Free lance?

– No. Per una rivista e per l’ONU.

– Che lavoro di merda. Spero che crepiate tutti.

I due uomini si fissano. Il più giovane e bello dei due scuote la testa e si rivolge all’altro, quasi coeteano, ma più grasso e malvissuto.

– E tu adesso che fai, campione?

– I soldi. Ma è noioso. Hai avuto problemi per i casini con la primavera araba? Ho sentito che c’è stata un po’ di maretta.

– Ti pagano per fare l’analista, non è vero? Non sei cambiato. Sta andando bene, tutto sommato. E’ un paese giovane. I militari non si sono messi di traverso, per fortuna, e la gente è andata in piazza. Si respira un’aria nuova.

– Sai cosa so?

– No, cosa sai?

Lui sa sempre qualcosa. Lui sbuffa gin. Il più giovane lo guarda con disprezzo. Lui è ubriaco, e i vestiti gli stringono. Suda e sbuffa. Lui nota lo sguardo del più giovane. Gli sventola due dita sotto il naso

– Io so che meno di un mese prima delle rivolte, tutto lo stato maggiore egiziano era in visita a Washington.

– E allora? E’ una rivoluzione della gente.

– Che cazzo dici? Sei diventato scemo? E’ la nuova dottrina Obama. Lo sai come ragionano i democratici: gli piace cazzeggiare con tutto il pianeta, ma non gli piace passare da colonialisti. Così la nuova moda è far sembrare ogni cosa naturale, spontanea. Quei dittatori arabi non sono più funzionali allo scopo, non sono neanche più tanto controllabili. Così gli americani chiamano l’establishment militare e gli propongono un bel patto: lasciate che accadano le cose, e voi rimarrete, dopo. Sennò, Iraq.

– Tutto il mondo la pensa diversamente.

– Tutto il mondo ha torto, come sempre. Chi dopo Mubarack? Almeno lui era laico.

– La democrazia, o qualcosa del genere. Pian piano.

– A me risulta che il vecchio abbia lasciato il monopolio dell’assistenza sociale e della carità ai Fratelli Mussulmani. Scommetto che in caso di elezioni vinceranno loro. Il popolo li ama. Forse sentiremo la mancanza di un lurido dittatore, tra qualche anno. Mi saprai dire, se non ti avranno sgozzato e mandato la ripresa alla CNN.

– Io torno al tavolo. Sei più ripugnante e sfatto dell’ultima volta.

Il giovane si allontana. Lui gli urla dietro, soffocato dai rumori del locale.

– Sai qual è la cosa buffa?

Il giovane lo guarda, senza rispondere

– Che sarà comunque colpa nostra!

Lui si piega con una risata goffa, rimane sul ponticello di bambù finto. Fissa un grosso pesce gatto nella vasca e lascia la sua donna sola al tavolo. Perde il sorriso garrulo. Gioca con il bicchiere, sbuffa gin. Ha gli occhi acquosi, come il pesce.

Esterno, confine libico egiziano. Il deserto. L’aria è cristallina e incandescente, come un cerchio del paradiso di Dante. Lontano dagli esseri umani, è impossibile percepire qualsiasi odore. C’è un piccolo appostamento di ribelli libici, trés velocemente diventeranno governativi. Il giovane uomo di Parigi toglie la sabbia da una Nikon digitale, seduto ad un tavolo di metallo. I ribelli ridono e scherzano e fanno un capannello intorno all’uomo del ristorante di Parigi. E’ irriconoscibile. A torso nudo, è tonico. I capelli corvini tagliati come un marine. I suoi occhi scintillano da metri di distanza. L’uomo entra sotto la tenda. Sembra allegro. Sembra addirittura felice.

– C’è dell’acqua?

– La tua è finita?

– Non è per me. E’ per loro. Prima regola, idratarsi. E poi… idratarsi!

Ride

Prende delle bottiglie di platica e le lancia energicamente al capanello di ribelli che lo acclamano schiamazzando in arabo.

– Ti ho mai ringraziato per avermi lasciato venire con te?

– Sei voluto venire per forza. Sei stato invadente.

– E’ una cosa che dovevo fare. Dovevo stare un po’ qui.

– Dovevi? Volevi. E’ diverso. Tu non sei capace di fare quel che devi. Ti viene solo quel che vuoi fare.

– E allora?

– Sei venuto in vacanza.

– Me la sono comprata.

– Hai lasciato tua moglie per questo.

– Ascolta, tu non sei così più giovane di me da non capire. Sul serio.

Si sente un’esplosione vicina, fortissima. Si alza un fungo di fuoco, che ricade gentile su un cratere. I ribelli si buttano a terra. La macchina fotografica scivola dalle mani del giovane. Lui rimane in piedi senza togliere lo sguardo dal lampo. Rottami metallici rotolano fino davanti all’ingresso della tenda. Si vede del metallo bianco e lo stemma della NATO. I rottami di metallo rotolano, dondolano, si fermano, bruciacchiando, bruciacchianti. Rimangono tutti immobili. Lui esce dalla tenda, si dirige verso un pezzo di metallo più grande. Il giovane rimane sulla porta della tenda e guarda. Lui accelera il passo, arriva ai rottami, comincia a urlare e a ridere e li prende a calci. I ribelli si alzano e guardinghi vanno verso l’uomo, cercando di capire.

L’uomo giovane mormora e scuote la testa

– Ma che fa quel pazzo cretino? Quella roba sarà piena di uranio impoverito. Si farà venire il cancro. Ci farà venire il cancro a tutti.

L’uomo giovane urla.

– Smettila, ci farai ammalare tutti! C’è l’uranio! L’uranio! Capito?! Via di lì!

L’uomo indica i rottami ai ribelli, gli mostra l’insegna NATO. Ride e incita i ribelli. I ribelli fanno uno più uno.

– Vi stanno dando una mano, vi stanno dando una mano! Credevano fossimo lealisti, ma si sono fermati! CI STANNO DANDO UNA MANO! E’ LA CAVALLERIA! SONO GLI ELICOTTERI!

I ribelli vengono contaggiati dall’euforia. Sparano in aria e festeggiano. Afferrano il concetto. Immaginano la carica degli elicotteri contro i fedeli di Gheddafi. Immaginano Gheddafi dilaniato da un missile anticarro. Assaporano i pezzi di Gheddafi che volano da tutte le parti. Prefigurano lo smembramento.

– Quello è pazzo. Quelli sono dei pazzi.

Cala la sera, e la caduta del missile è ancora il prodigio di giornata. Intorno al fuoco gli uomini si raccontano l’impatto e i fatti successivi. Puntano le armi di fabbricazione sovietica verso il cielo come lance. Il giovane si siede accanto a lui.

– Bella sceneggiata oggi.

– Questi selvaggi mi adorano, mentre odiano te.

– Sì? E da che lo capisci?

– Mi lasciano toccare le armi, mi fanno sparare nel deserto. Mi vogliono bene.

– Oggi, quando hai preso a calci quel missile, probabilmente gli hai fatto veniere la leucemia a tutti.

– Per via dell’uranio, vero?

– Sì.Ne basta pochissimo.

– Questi qua ti odiano. Questi tagliagole analfabeti qui hanno capito che non sei un uomo.

– E tu saresti un uomo, invece?

– Sì.

– E perché?

– Ho accettato il mondo.

– Sei un poveraccio.

– Ho accettato che ci sono delle cose che si possono fare, e altre che non si possono fare. Ho imparato l’arte del possibile. Tu stai da una parte. Sei un egoista e non sei un uomo, perché ti preoccupi di giudicare nella maniera più giusta e imparziale.

– Mi piace la giustizia. Odio la violenza di questi uomini, e la nostra.

– Tu non odi la violenza. Nessuno la odia davvero. Al massimo ne hai paura, o repulsione. Come per i ragni. Per quanto ti facciano orrore, sai che servono. E hanno una loro eleganza.

– Io credo che tu sia una persona terribile. Sei quasi un mostro, ma per fortuna sei finito e sei inoffensivo.

– Tu rifiuti la logica della compromissione. Non ti comprometti. E questi uomini qui, che non sanno scrivere e sono delle belve, lo capiscono e gli fai schifo. Forse anche paura. Devi dire cosa vuoi. E devi dire qualcosa che sia possibile fare.

– Tutto questo perché ho delle opinioni e so che finirà tutto in un bagno di sangue? Lo sai pure tu che Gheddafi non verrà processato. Finirà come per Osama. Non è legge. E’ vendetta. E’ il rimedio peggiore della malattia. Che senso ha fare la guerra se poi dopo la barbarie c’è la barbarie? Tu lo sai che è così.

– Io so che noi abbiamo messo Gheddafi perché ci faceva comodo. Abbiamo messo Saddam, abbiamo messo Mubarak. Abbiamo creato Osama. Poi sono diventati dei problemi, e abbiamo cominciato a fare un repulisti.

L’uomo più giovane prende scalcia verso il falò una roccia fossilizzata. Fa una smorfia si mette il volto tra le mani. Le nocche diventano bianche.

– E adesso cosa c’è?

– Come fai a conviverci?

– Con cosa, in particolare?

– Con tutta questa ingiustizia. Io guardo la mia pelle, guardo il mio passaporto, e so che tutto quello che abbiamo dato al mondo sono morti e dolore e malvagità. Perché non possiamo portare giustizia? Sono stanco di vergognarmi. Non te ne importa niente, vero? A te non importa.

ll giovane si sfrega violentemente la testa, come se provasse un senso di imbarazzo da grattare via. I suoi occhi diventano rossi e umidi. Il vecchio si alza.

– Lo vedi lui? Guardalo. Avrà diciotto anni? Hai diciotto anni?

Il giovane ribelle sorride e annuisce.

– Lascialo in pace.

– No lo devi guardare. Lui ha 18 anni. Ehi ragazzo, dimmi, cosa farai al vecchio Gheddafi? Gli sparerai?

Il ragazzo annuisce ancora, e sorride di più stringendo i denti bianchi. Solleva il kalashnikov sopra la sua testa. Un compagno traduce quello che dice l’uomo.

– Traduci quello che gli dico, adesso, che questa scemunito non ha capito una parola. Digli tu ammazzerai Gheddafi, sarai tu. Sarai tu il prescelto. Cosa farai quando lo troverai? Gli farai saltare le cervella mentre trema rintanato nel buio. Ragazzo, ammazzerai Gheddafi! Ne sono certo.

L’uomo giovane si intromette.

– Lascia perdere quel ragazzo. Tu alla sua età neanche sapevi come era fatto un fucile.

– Lui ammazzerà Gheddafi. Perché è quello che va fa fatto, non importa come e ormai non importa neanche se è giusto. E’ così che deve andare ed andrà proprio così.

Si rivolge all’interprete improvvisato

– Digli di andare nella mia tenda e di prendersi quel cappello dei New York Yankees che gli piace tanto. Digli che è suo. E che se prova a rubare qualcosa lo prendo a calci in quella boccaccia. Diglielo.

L’interprete traduce al ragazzo, che si alza e corre dimenticando il fucile a terra. Ogni tre passi salta, felice.

– Gli ho regalato il mio cappello degli Yankees. Ho fatto bene, no?

– Tu sei un pazzo maniaco.

– E tu sei un uomo giusto, ma non ti invidio. Noi siamo la tribù degli uomini.

– Siete delle belve ed io non voglio essere come voi.

E tu lettore de ilbureau, da che parte stai? Da che parte sta la ragione?

Commenti

commenti

1 Comment

  1. wanaxa ottobre 26, 2011 Reply

    Un tumore che metastatizza sè stesso. Non c’è ragione. Solo darwiniana necessità, l’adattarsi dell’uomo alla geometria dell’Universo.

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