La prosa del mondo è la rete compatta e inestricabile di parole dentro la quale viviamo, il concatenamento di storie, idee, immagini, teorie che “arredano” la nostra esistenza quotidiana, e modellano il nostro comportamento. Dalla prosa del mondo prendiamo in prestito le frasi per raccontarci la realtà: la nostra piccola storia privata, e le grandi storie pubbliche nelle quali siamo incastonati. La prosa del mondo si sovrappone al mondo come una seconda crosta terrestre fatta di segni e di significati simbolici. Leggerli e decifrarli, oggi, sembra sempre piú complicato; presi nella rete, ci sentiamo sovrastare dalla marea di informazioni che ci attraversano. La prosa del mondo si infittisce a tal punto da rendersi illeggibile, rendendo di conseguenza opaca la realtà.
Esistono alcuni posti in cui si ha l’impressione che la prosa del mondo in tutta la sua estensione si sia solidificata lí, in quel punto esatto, prendendo le sembianze di tonnellate di carta coperte da litri di inchiostro: quei posti sono le fiere librarie. L Buchmesse di Francoforte, in particolare, andata in scena la scorsa settimana, è la fiera delle fiere, il contenitore di tutti i contenitori, realizzazione concreta della Biblioteca di Babele immaginata da Borges: il luogo che include tutti i libri, quelli già scritti e quelli ancora da scrivere, e tutte le lingue del mondo, quelle esistenti e quelle inventate, quelle possibili e quelle impossibili. La fiera di Francoforte sintetizza perfettamente il punto di massima espansione e insieme il punto di esaurimento della civiltà del libro: che non scompare per evaporazione digitale, come si teme, ma si esaurisce per ipertrofia, scompare per eccesso di presenza.
Che Francoforte sia il luogo in cui il libro sancisce la propria definitiva dissoluzione nel sistema produttivo del capitalismo avanzato, diventando merce tra le merci che rinuncia a ogni forma di conflittualità, è la tesi dell’articolo che mi è stato segnalato da Fabien Kunz-Vitali, docente di letteratura italiana all’Università di Amburgo, impegnato a cercare ovunque le contraddizioni e i conflitti interni al mito della Germania “locomotiva d’Europa”. Fabien conosce tutte le lingue che ha senso conoscere, e ha individuato e tradotto un articolo pubblicato il 5 ottobre sul sito del quotidiano socialista Neues Deutschland, scritto da Karl-Heinz Dellwo, co-ideatore e responsabile della casa editrice Laika, con sede ad Amburgo. Puntando su una linea editoriale orientata alla critica della società del capitalismo avanzato, Dellwo ha trasferito sul piano del confronto intellettuale la “guerra” purtroppo per niente metaforica combattuta in prima linea da militante della RAF: un’esperienza che egli stesso ha riconosciuto come un tragico equivoco, dopo aver passato vent’anni in prigione in seguito a una duplice condanna all’ergastolo per corresponsabilità nell’omicidio di due ostaggi durante un’azione terroristica all’ambasciata tedesca a Stoccolma nel 1975.
L’articolo può avere aspetti controversi, e apparire semplicistico per la perentorietà di alcune asserzioni, ma è interessante perché prova a stabilire una connessione forte tra le condizioni di circolazione della cultura e lo stato di salute della democrazia: entrambe, cultura e democrazia, soffocate e quasi svuotate di senso dalle determinazioni dogmatiche del mercato. Secondo il piú crudele dei paradossi, Francoforte dimostra come l’industria culturale, anziché essere il luogo in cui si elaborano racconti conflittuali e alternativi rispetto all’esistente, è una macchina di intensificazione della prosa del mondo che serve solo ad aumentare l’illeggibilità.
Questa settimana a Francoforte avrà luogo una nuova edizione della piú grande fiera del libro in Europa. In realtà non si tratta che di un evento commerciale. Non serve a nient’altro se non alla produzione e alla vendita di libri. Alla fiera di Lipsia, evento che si svolge ogni anno, a marzo, i dirigenti provano a garantire un livello anche solo minimo di scambio e di discussione. Vale a dire che riconoscono al lettore un ruolo forte, un’identità politica. Di contro, a Francoforte si rinuncia a priori a qualsiasi tipo di contenuto. Non si dà spazio alcuno che permetta ai lettori di interrogarsi o confrontarsi su ciò che i libri contengono. L’unica cosa che interessa è la merce e, al limite, le strategie per venderla. Del resto, la dirigenza stessa della fiera non offre assolutamente niente se non in cambio di soldi.
Il contenuto è morto, vive solo la copertina, l’imballo, il prodotto. Il mondo è commerciabile. Ecco tutto. Oltre questo orizzonte non c’è piú niente.
La fiera di Francoforte è, infatti, perfettamente compatibile e converge con il mainstream della società tedesca, quello che si è appena manifestato in occasione delle elezioni del Bundestag. Volendo riassumere: abbiamo la “democrazia conforme al mercato” di Angela Merkel che si oppone al mondo-cassa-di-risparmio di Peer Steinbrück. Per il rimanente, ci sono i verdi-neoliberali che scalpitano per arrivare al governo, sbandierando il loro “capitalismo ecologico” che, in realtà, non è se non un mezzo con cui soddisfare una repressa nostalgia di potere. Anche qui: è morta ogni differenza. Solo la superficie dà ancora qualche guizzo di vita.
Tutto ormai va nella stessa direzione, tutto prosegue su uno stesso sentiero, anche quando è chiaro che non mena da nessuna parte. La politica dei suddetti partiti ormai non significa piú niente. Niente se non: mantenere lo status quo, fare che il capitalismo possa sopravvivere qualche giorno in piú, che i circuiti commerciali possano fare qualche giro ulteriore. L’orizzonte è comunque lo stesso: il mondo si compra e si vende e basta.
Per le case editrici i tempi sono tutt’altro che facili. Spazzatura letteraria qui, spazzatura letteraria là. Ovunque solo roba per far passare, anzi, letteralmente, uccidere il nostro tempo. Lo scopo della società dell’intrattenimento è di mandarci tutti a morire compatibili con il sistema. Cioè prima che siamo in grado di capire l’impostura totale nella quale tutti ormai stiamo vivendo.
La crisi della società, priva com’è di una qualsiasi prospettiva di fine, genera tre tipi di mentalità: l’accettazione, la collaborazione o la rimozione. C’è poi una quarta posizione. È quella della rivolta e del cambiamento, e che da sempre sottende il mandato della ricerca di nuovi orizzonti, di nuove energie per la lotta di classe. Ma in questo momento non ha nessuna rilevanza. Non si propone da nessuna parte. E in effetti, non è una posizione semplice. Non si produce, cosí, dal nulla. Eppure, bisogna tenersi pronti per il suo avvento.
Alcuni cercano di salvarsi, di arrivare ai tempi che verranno, e che saranno tempi piú radicali (cioè migliori), mediante l’intensificazione dell’auto-sfruttamento. Altri cercano e spesso trovano mezzi e risorse utili alla loro identità politica nella produzione di gialli e di altri libri d’intrattenimento. Spesso, purtroppo, poi vi si smarriscono anche.
La legittimità delle case editrici di sinistra sta nel contenuto delle loro pubblicazioni. E il contenuto è supposto contribuire al cambiamento radicale, se non rivoluzionario, della società. Ciò significa però che gli editori di sinistra sono costretti a stare in disparte, un po’ come alla fiera di Francoforte. Devono continuare a stare in una posizione d’attesa, finché qualche cosa succeda. Qualche cosa che dia a tutti noi la forza di mettere fine, definitivamente, alla svalutazione capitalistica della nostra vita.