di Matteo Pelliti
Lapis #10 (sulla verità del falso)
Si tratta, con tutta evidenza, di un fake. Ecco l’expertise della contemporaneità! Nuova occupazione per filologi precari? Viva i fake! Così, per assonanza, anche se non sai l’inglese, il contesto d’uso ti farà capire sempre di che si sta parlando: un falso. Ma un fake è qualcosa di più d’un falso. Un falso qualcosa di cosa? Il tema della “falsificazione” della realtà è troppo esteso per comprimerlo nel Lapis, a me interessa qui, soprattutto, l’aspetto lessicale della cosa, il fatto che utilizziamo questo neologismo per riferirci a un’ampia gamma di fenomeni che avvengono in rete. Il primo, e più diffuso, riguarda il “falso profilo” identitario, per il quale il fake è una “falsa identità”, in genere di un personaggio pubblico (invece, sul fenomeno delle false identità sui socialnet rimando al film/trasmissione tv Catfish). Ora, che ogni identità contenga elementi finzionali, nel senso di narrazioni che la costituiscono, ci autorizza a ritenere il confine tra i due stati (originale/falso) una convenzione testuale. Il fake, inoltre, si presenta spesso come variazione satirica, parodistica, dell’originale che mima. Da qui l’esigenza di “certificare” e verificare le identità di rete attraverso, ad esempio, un bollino di garanzia. Il problema del falso non riguardo solo le identità che polarizzano di per sé attenzione, ma la stessa “massa critica” di chi segue quelle identità: il caso dei milioni di falsi “followers” di Barack Obama (qui un riepilogo infografico del fenomeno).
Cosa si oppone al concetto di “fake”? Non il concetto di “verità”. Piuttosto una specifica: “official”. Ma potremmo ipotizzare anche un “falso” ufficiale, un falso autorizzato. Un falso più creativo dell’originale di cui si pone come sosia, come copia, è il destino che tocca, spesso, alle campagne di comunicazione, commerciale o politica che sia. Dal fake all’official il passo è brevissimo e, anzi, spesso vincente (vedi le pagine “Marxisti per Tabacci“, “Coatti per Marino“, Arfio Marchini… E’ un fake? O è un “official fake”?) Il falso ha, oggi, un valore identitario pari, se non superiore, all’originale di cui è falso. Il fake che diventa strategia di comunicazione è più originale dell’official di cui è fake. Di una “estetica del fake” come parte fondante dell’estetica del presente si parla correntemente da tempo, riutilizzando il titolo wellesiano di “F come Falso”, in studi critici che affrontano, appunto, il tema della falsificazione delle immagini. Parlare di immagini oggi è parlare di falsificazione, dal fotoritocco in su. Quello che vale sottolineare qui è, piuttosto, l’attesa che neutralizza il potenziale critico del fake: non più elemento di “disturbo” di un prodotto/persona/logo, ma unica deriva creativa ormai possibile rispetto ad ogni prodotto/logo/persona. Il viral-fake – penso ai falsi video pubblicitari – come complice dell’originale “violato”. Veri falsi, e falsi veri – tralasciando la vasta questione negli ambiti della storia dell’arte e dell’estetica – sono le coppie di termini con le quali intrecciare l’ossimoro delle nostre esperienze quotidiane non solo con le identità di rete, ma con tutti i prodotti comunicativi.