DAL TRAMONTO ALL’ALBA DI UN NUOVO CINEMA

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di Alfred MacGuffin

 

Quando un premio Oscar alla regia prende carta e penna e decide di scrivere una lettera alla figlia, bisogna leggerlo con attenzione. Perché, se il rischio è che possa venirne fuori una testimonianza nostalgica, alla fine della lettura ti accorgi invece che quel pericolo è scongiurato e che ti sta aprendo gli occhi su quello che sarà il cinema del futuro.

Se a farlo poi è Martin Scorsese, 72 anni e una biografia che parla da sola, non puoi non credergli quando dice che Non penso di essere pessimista, però, se dico che l’arte del cinema e il business del cinema sono arrivati a una svolta. L’entertainment audiovisivo e ciò che conosciamo come cinema – immagini in movimento concepite da individui – sembrano andare verso direzioni diverse. In futuro, probabilmente, vedrai il cinema sempre meno sugli schermi dei locali multisala e sempre di più in sale piccole, oppure online e, presumo, in spazi e situazioni che non posso nemmeno prevedere.
Ma allora, Francesca, perché dico che il futuro è luminoso? Perché, per la prima volta nella storia di quest’arte, i film possono davvero essere fatti con pochi soldi. Quando io ero giovane era impossibile: i film a bassissimo budget sono sempre stati l’eccezione più che la regola. Ora è il contrario. Puoi avere immagini bellissime con cineprese assolutamente abbordabili. Puoi registrare suoni, montare e mixare e correggere il colore a casa tua. Tutto questo sta accadendo davvero”.

Tralasciando per un attimo la questione del duello tra piccole sale e multisala, c’è un passaggio fondamentale in due righe di Scorsese che merita di essere approfondito: il budget.

La domanda è quanto costa fare un film e soprattutto quanto costa per un giovane, categoria sociale alla quale lo stesso regista americano si riferisce pensando ai suoi tempi e lasciando aperta la speranza che per un giovane di oggi la questione budget non sia un ostacolo difficile da superare. Come funziona in Italia la questione del finanziamento – quello pubblico – al cinema è molto facile da scoprire. Basta andare sul sito del Ministero dei Beni Culturali.

C’è una sub commissione ministeriale che su richiesta dell’impresa cinematografica produttrice decide l’attribuzione di un contributo ad opere ritenute di interesse culturale. Sulla base di requisiti di idoneità tecnica, artistica e spettacolare. Gli ultimi due aggettivi sono quanto di più discrezionale ci possa essere in giro.

In più ci sono poi i contributi che possono arrivare alle opere già realizzate o uscite in sala, in base a premi o riconoscimenti ricevuti, e infine le agevolazioni fiscali che permettono ai soggetti privati che investono nel cinema di accedere a crediti di imposta (tax creditpossibilità di compensare debiti fiscali con il credito maturato a seguito di un investimento nel settore cinematografico) e alla detassazione degli utili (tax shelter).

Ma tutto questo se non hai una società che va a chiederli quei soldi non puoi farlo. Quindi in Italia, se sei un giovane senza budget, senza neanche i  15mila euro  e 11 giorni che sono serviti a Ciro de Caro per Spaghetti Story, tutto diventa complicato. E allora, senza srl, la regola potrebbe rimanere l’altissimo budget. Almeno in Italia, dove sarà sempre meglio agire, senza aspettare che il film non veda mai la luce. E non perché negli altri paesi europei il sistema audiovisivo abbia semplicemente più risorse. Ma perché nel 2012 le case produttrici finanziate hanno nomi come Palomar, Inidgo e Cattleya e i registi si chiamano Mario Martone, Paolo Sorrentino e Marco Bellocchio. La pioggia sul bagnato.

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