CON LA CULTURA NON SI MANGIA, SI VIVE

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Alessio Dell’Anna

Sul web non ce n’è quasi più traccia, eppure per quarant’anni il polo universitario di Feltre è stato uno dei più importanti centri universitari veneti legati al mondo della comunicazione. Numerosi corsi di laurea, un patrimonio librario inestimabile, e il merito di aver dato i natali al progetto che più tardi sarebbe diventato quello di IULM, l’università di lingue e comunicazione oggi basata a Milano.

Stretta nella morsa dei nuovi corsi di comunicazione sorti per esempio a Padova o a Verona, e in conflitto con un’amministrazione che ormai la riteneva più una costola del polo milanese che non una vera e propria ricchezza territoriale, nel 2010 Feltre ha dovuto chiudere i battenti, lasciando nella provincia bellunese un vuoto che non sarebbe più stato riempito. Curioso, dato che proprio l’amministrazione locale decise all’inizio dell’avventura – nel 1968 – di destinare parte delle sue risorse proprio al centro accademico, che si dimostrerà poi, oltre che un punto di riferimento in Italia, anche un importante centro di raccordo con l’Europa.

Da sede madre Feltre ha dovuto subire un abbandono che ha influito sia sul prestigio che sull’economia del centro. Se il caso rappresenta un’eccezionalità nel settore dell’istruzione privata italiana (che negli ultimi tre anni ha risentito poco dalla crisi perdendo solo un 1%, e in alcuni casi crescendo), ben diverso è se lo si analizza in una prospettiva più ampia, che racchiuda anche l’enorme mondo dell’università pubblica. Un mondo che, nell’ambito della crisi generale che lo ha colpito ( vedi infografica) ha accusato negli ultimi dieci anni una vera e propria emorragia nel settore umanistico. Lettere, filosofia, comunicazione, le immatricolazioni sono crollate del 27 %. Il picco si raggiunge in sociologia, una disciplina che, sebbene collocata a metà fra lauree umanistiche e scientifiche, ha perso quasi il 33%.

La percezione generale è che in un momento di crisi una laurea umanistica non sia un buon investimento per il futuro. Sono corsi che tendono ad essere percepiti inutili, poco fruttuosi dal punto di vista economico, o peggio considerati come “lauree parcheggio”, in cui sostare qualche anno in attesa di affacciarsi al mondo del lavoro, e poi chissà.

L’Italia, una volta al primo posto per immatricolati nel settore, si è vista superare da altri paesi, come Germania e Stati Uniti, che viaggiano oggi su un 30% circa, abbassandosi a uno sconfortante 22%. C’è da dire che il calo è stato accusato anche da altri sistemi universitari europei e non, probabilmente migliori e più all’avanguardia del nostro (La fine delle lettere http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/06/27/la-fine-delle-lettere.071.html). Se in Italia però la questione è stata spesso evitata, aggirata, (se non contestata) in Francia e negli Stati Uniti si è assistito a un tentativo di sollevare la questione con il lancio di progetti intergovernativi a difesa e valorizzazione del settore. Perché, come dicono bene i ricercatori americani, “sarebbe un errore fatale per la nostra nazione pensare che gli studi umanistici sono un lusso che non ci possiamo più permettere”.

Oltre questo, non bisogna dimenticare che anche economicamente la cultura abbia un peso non trascurabile (Con la cultura il Pil aumenta). La situazione però, al di là delle parole, pare non essere ancora essere stata presa di petto. Gli atenei continuano a venire progressivamente privati di risorse, cosa che, fra le altre cose, si riflette prima che su ogni altro aspetto sullo sfoltimento della rosa docenti. In dieci anni, per esempio, gli ordinari di letteratura italiana all’Università la Sapienza sono diventati da dodici due soltanto. Dopotutto, come ha affermato Asor Rosa “come si fa ad appassionare gli studenti verso questi corsi di studio se il messaggio che passa è che si tratta di residuali, di un mondo che non c’è più, sul quale non vale la pena di investire?”.

Forse allora è il caso di dire che lo stato debba fare un’opera di comunicazione profonda, ancora prima di insegnarla?

Fonti: Istat, Miur, Oecd

Si ringrazia per il prezioso contributo il Professor Vincenzo Russo, docente all’Università IULM di Milano, e dal 2006 al 2010 prorettore della sede IULM di Feltre.

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