Dollaro

di Marco Fidanza

Era il 30 Maggio 1971 quando nella Camera di Commercio degli Stati Uniti d’America veniva posta una domanda: come possono le élite gestire definitivamente il potere?
L’occidente conosceva in quella fase la coda sessantottina della portentosa diffusione delle ideologie di sinistra. La socialdemocrazia conquistava sempre più consensi tra gli intellettuali e i docenti. Tra gli studenti americani di alcune facoltà, futuri leader e manager, si vociferava addirittura di socializzare le maggiori imprese americane. Il tutto suscitava i timori dei grandi imprenditori americani ed europei.

La Camera di Commercio degli Stati Uniti rigirò la domanda ad un avvocato specializzato in corporation, Lewis F. Powell, allora giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti. Incaricato di dare una struttura a questo progetto, Powell scrisse un memorandum in cui individuava, con estrema chiarezza e semplicità, quelli che rappresentavano gli ostacoli maggiori per il ritorno al potere delle élite e un modo efficace per abbatterli.

Cito: «Nessuna persona ragionevole può mettere in discussione che il sistema economico americano sia sotto un ampio attacco. Questo varia per portata, intensità, per tecniche impiegate e per livello di visibilità. Ci sono sempre stati alcuni che si sono opposti al sistema americano ed hanno preferito quello socialista  o qualche altra forma di statismo (comunismo o fascismo).  (…) Ma quello che ora ci riguarda è del tutto nuovo nella storia dell’America. Non si tratta di attacchi sporadici o isolati di relativamente pochi estremisti o anche della minoranza dei quadri socialisti. Piuttosto l’assalto al sistema di impresa è ampio e perseguito con coerenza. Sta guadagnando slancio e converte».

Dopo aver portato l’attenzione su ciò che maggiormente lo preoccupa (praticamente tutto dal momento che non è più un partito o una fazione, ma una idea a preoccuparlo), passa ad elencare “alcuni cambiamenti” che riterrebbe utile effettuare: «Che cosa dovrebbe essere specificatamente fatto? La prima cosa essenziale, un prerequisito ad ogni azione efficace, è per gli imprenditori considerare questo problema come una responsabilità primaria della gestione aziendale. Un significativo primo passo per le singole aziende potrebbe essere il designare un vice presidente esecutivo (con più poteri degli altri vice) la cui responsabilità è di neutralizzare, sul fronte più ampio, l’attacco al sistema delle imprese».

Propone pure di far supervisionare alla Camera ogni tipo di trattato o patto economico, di impatto rilevante, tra  i diversi stati e di unire lo sforzo economico per poter perseguire l’opera comune. Nasce così il sistema delle lobby.

Cito: «Ma le attività indipendenti e non coordinate delle singole aziende, per quanto importanti esse siano, non saranno sufficienti. La forza sta nell’organizzazione, in un’attenta pianificazione di lungo periodo e un’attuazione, in coerenza con l’azione per un indefinito periodo di anni, in un grado di finanziamento disponibile solo con uno sforzo congiunto, e in un potere politico disponibile solo attraverso un’azione unitaria e una organizzazione nazionale».

Queste sono le radici socioeconomiche da cui sorgeranno colossi finanziari come le lobby ebraiche o la Transatlantic Buisness Dialogue che ogni anno consegna una lettera di desiderata alla Commissione Europea che, a sua volta, è tenuta a dare al colosso una pagellina specificante l’operato su cui si è chiesto di intervenire.

Nel prosieguo del memorandum, Powell espone tutta una serie di interventi che mirano a sradicare questa incombente idea “rossa” che rosicchiava le gambe dei alcuni troni. E non si risparmia. Gli interventi che propone riguardano media, istruzione (in particolar modo le facoltà di economia ), politica interna ( mira soprattutto al mondo dei lavoratori, a quei tempi un vero “problema” ), istituzione e organizzazione di un sistema capitalistico e finanziario che miri al controllo dei maggiori patti economici mondiali, sembrano le basi giuste per la costituzione della WTO l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma ciò su cui insiste maggiormente è la professionalità, la costanza e la ferma fede che dovranno sorreggere chi si assumesse il compito di rovesciare i risultati di duecento anni di vittorie di ideologia di sinistra.

Fatto l’ abbozzo non rimaneva che trovare qualcuno che organizzasse il tutto per dare l’avvio a questo progetto. Nacque così la ormai famosa Trilaterale. È il 1973 quando per iniziativa di David Rockfeller alcuni tra i più potenti uomini d’affari e intellettuali di Europa, Giappone e Stati Uniti decidono di incontrarsi per condividere i loro pensieri, sarebbe meglio dire obiettivi, neoliberisti. E non perdono tempo, chiedono a tre intellettuali (Samuel P. Huntington, J. Watanuki e Michel Crozier) di scrivere una relazione che descrivesse le società dei paesi interessati e che proponesse rimedi, su tutti i fronti, lì dove il sistema neoliberista non venisse TOTALMENTE accettato.

Nel 1975 esce Crisi della democrazia un’ opera che, a dir poco, ha scandito la logica delle politiche interne di quasi tutti i più grandi paesi del mondo. Ciò che sembra uscire fuori da questo libro è una formula, specifica per ogni tipo di “male statale”, che miri alla trasformazione di un concetto. La democrazia. Della democrazia quello che deve essere mantenuto è tutto l’apparato esterno, o la buccia se vogliamo. Cioè i politici, i “sistemi elettivi”, alcuni sindacati e un istruzione conformemente adeguata ad un certo tipo di verità. Ciò che deve cambiare è chi, invece, effettivamente partecipa a questa democrazia.

Cito: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene. (…) Curare la democrazia con ancor più democrazia è come aggiungere benzina al fuoco».

Questa è la lista di ciò che per loro sono le disfunzioni della democrazia:

1) i valori di uguaglianza e di libertà individuale;
2) l’espansione della partecipazione politica democratica;
3) la competizione politica essenziale alla democrazia (partecipativa), “bell’idea il bipolarismo”;
4) le pressione che il governo subisce dalla società o da gruppi (a meno che non abbiano interessi lobbistici).

Ma. Così muore la democrazia partecipativa. Così i sindacati sono costretti a barattare i diritti da diminuire e non quelli da conquistare o rafforzare. Così i media e i mezzi di informazione più influenti espongono una sola verità, per molti anni l’unica. Così la vita di tutti i giorni viene calibrata dal pazzo oscillare di capitali finanziari la cui grandezza neanche immagino.

Questa è l’intervista che Giovanni Agnelli, allora membro della Trilaterale, rilasciò il 30 Gennaio 1975 al Corriere della Sera. Spero vi sia di consolazione di più di quanto lo è stata per me.

«Probabilmente dovremo avere dei governi forti, che siano in grado di far rispettare i piani cui avranno contribuito altre forze oltre a quelle rappresentate in Parlamento; probabilmente il potere si sposterà dalle forze politiche tradizionali a quelle che gestiranno la macchina economica; probabilmente i regimi tecnocratici di domani ridurranno lo spazio delle libertà personali. Ma non sempre tutto ciò sarà un male. La tecnologia metterà a nostra disposizione un maggior numero di beni e a buon mercato».

 

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