CARCERI DI CITTÀ PER UN SISTEMA DETENTIVO PIÙ EFFICACE

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di Antonio Buonsante

“Un obiettivo prioritario è quello di decongestionare le aree più popolate delle grandi città mediante la realizzazione di nuovi insediamenti in aree decentrate e a basso impatto urbanistico.”  

Piano Carceri

Decongestionare un sistema al collasso come quello carcerario è possibile, ma occorre considerare più attentamente il rapporto tra la struttura detentiva e la città. In Italia da lunghi anni il problema del sovraffollamento balza agli onori –anzi, ai disonori- della cronaca con frequenza più o meno costante. Le risposte ai problemi detentivi sono sempre le stesse, siano esse indulto, amnistia, o nuove carceri. Un discorso che finisce sempre per mettere al centro problemi esclusivamente numerici anziché un dibattito che si confronti su idee e visioni organiche.

La questione detentiva è anche una questione culturale, che non viene risolta attraverso un unico intervento, ma passa da tante soluzioni, tutte valide e significative allo stesso tempo: tra queste, l’architettura è un elemento spesso trascurato. Ci si dimentica di quanto questo ramo sia importante come punto di partenza di tutte le soluzioni a venire, per le quali peraltro i progressi fatti negli ultimi anni sono stati abbastanza scarsi.

Possono le carceri trasformarsi in luoghi prediletti per assolvere le funzioni educative e di reinserimento nella società che “la galera” (sic) si ripromette di assolvere? Ad oggi purtroppo non esiste nessuna struttura italiana (esclusa quella di Bollate) che possa veramente mantenere questa promessa. Quasi la totalità delle carceri italiane, se non deriva da un adattamento di vecchi conventi e prigioni ottocentesche, si sintetizza in casermoni spogli, progettati dall’istituto tecnico del Ministero. Fanno il loro lavoro, il giusto, tuttavia l’architettura penitenziaria potrebbe aspirare a qualcosa di più, a partire dal suo inserimento nel contesto territoriale.

Premesso che non esistano i non-contesti (o se preferite, i non luoghi) ma solo contesti ricchi e poveri, per far sì che un progetto di casa circondariale si integri efficacemente col territorio la città sembra essere il posto privilegiato. Innanzitutto è quello dove le qualità architettoniche e morfologiche di un edificio vengono messe più in luce, agevolandone l’individuazione di pregi e difetti. Inoltre, una casa circondariale cittadina offre un controllo maggiore sull’architettura. Chi vi viene ospitato (pene inferiori ai 5 anni) sono per lo più tossicodipendenti, stranieri irregolari o senza lavoro, e vittime del precariato. Fra loro e le guardie carcerarie un “buon progetto” porterebbe vantaggi reciproci: i famigliari dei detenuti sarebbero agevolati nella visita ai loro cari, i detenuti si sentirebbero meno lontani dalla realtà che li aspetta lì fuori, e le guardie carcerarie potrebbero affrontare il proprio lavoro con maggiore dignità, diminuendo i tempi di pendolarismo e alleggerendo il carico emotivo che si crea all’interno delle mura carcerarie. Inoltre, i contrasti tra carcere e città sarebbero costretti a ingentilirsi, i dispositivi di sicurezza si farebbero più efficaci, e l’ingombro della struttura detentiva sarebbe meno pesante.

In un certo senso, possiamo dire che la città obbliga a economizzare alcune infrastrutture sovrabbondanti che troviamo all’interno di una prigione, diminuendo il loro impatto sul territorio e, allo stesso tempo, aumenta l’attenzione tra la struttura e il suo vicinato. Tutto quello che viene costruito al suo interno deve sapersi adattare, trovando la scala appropriata.

Ma un’architettura carceraria spesso porta dietro di sé polemiche, e quella fatta in un contesto cittadino vincola a studiare attentamente le proprie decisioni considerando il territorio circostante. Spesso le comunità dei residenti si sentono minacciate dalla funzione detentiva, ed in un contesto cittadino possono sancire perfino l’impossibilità di intervento. Una minaccia che sembra venire non tanto dai detenuti, che peraltro rimangono in cella per più di 22 ore al giorno, ma dall’idea si ha generalmente delle carceri, ovvero contenitori di rifiuti sociali. E chi vorrebbe vivere accanto all’immondizia?

Lo spazio diventa un altro punto di criticità . Una struttura carceraria media ospita attorno i 400  detenuti: garantire servizi sufficienti per queste persone (cucine, celle, sale colloqui, campi sportivi, palestre per i detenuti, sale ricreative, docce, uffici, chiesa, laboratori, cortili, abitazioni per gli agenti, ambulatori, torrette di sicurezza, locali tecnici…), richiede uno spazio che spesso pare non esserci. Salvo dimenticarsi che le nostre aree urbane sono disseminate di interi edifici e aree abbandonate sfruttabili diversamente. Particolare attenzione meriterebbero sempre più modelli di strutture piccole, che comprendano in sé forti componenti rieducative.

La città, insomma, nonostante tutti i suoi pregi e i suoi difetti, evita la costruzione di megastrutture carcerarie, da duemila e più detenuti, gli istituti dei grandi numeri, delle grandi promesse e delle grandi sofferenze. La città è il luogo capace di trasformare un carcere in qualcosa di nuovo, rigenerandolo. Un giorno, forse, non esisteranno più le carceri come ce le immaginiamo ora. La città sarà capace allora di convertire questi involucri in qualcosa d’altro, sempre attuale.

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