Il verdetto

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di Marco Viviani

Noi per lo più nella vita ci sentiamo smarriti. Così dice nella sua disperata arringa finale Paul Newman nei panni un po’ sgualciti di Frank Galvin, l’avvocato alcolizzato protagonista di “Il verdetto”, uno splendido film della premiata ditta Mamet-Lumet. Ed è così che ci sentiamo nei confronti del verdetto della Cassazione previsto nelle prossime 24/48 ore. Dopo vent’anni di discussioni laceranti, di pessimismo, di fatalismo, persino di paradossale simpatia per chi ha continuato a stare sul ring della politica italiana per vittorie sue o per abbandono dell’avversario, tra Silvio Berlusconi e la sua fine come uomo politico c’è un delta piccolissimo, sottilissimo, che sembra però non ridursi mai a zero, che impaurisce e ci toglie il fiato come la vertigine che si prova col paradosso di Zenone su Achille e la tartaruga.

Accadrà davvero? Accadrà qualcosa? L’udienza in Cassazione di oggi sembra garantire una sentenza già domani o giovedì. Gli avvocati del Cavaliere non hanno chiesto tempi aggiuntivi, la Corte si dovrà esprimere sulla correttezza formale del processo in appello che ha condannato Silvio Berlusconi per frode fiscale a 4 anni di reclusione e all’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici. In caso positivo, non potrebbe più ri-entrare in Parlamento.

La sensazione, in questa sospensione surreale che vive il Paese per le sorti personali di un uomo che ha dato ampia prova di sé e di non meritare i milioni di voti che pure ha avuto (e continua ad avere) è che l’epoca dell’attesa stia finendo e come sempre accade nell’esatto istante in cui si realizza questa consapevolezza si prova un’ambigua nostalgia verso di essa. La sospensione delle azioni, in questo paese dove si rimanda ogni riforma, ogni passo coraggioso, dove è impossibile avere «da uno dei milioni d’anime della nostra nazione, un giudizio netto, interamente indignato» (Pasolini), è comoda e tiepida come una sauna.

Dentro la sauna, i tratti confusi dal vapore acqueo dei deputati pronti all’Aventino, forse qualcuno pronto a una carriera solitaria, ci sono partiti di opposizione lacerati dalle conseguenze di questo verdetto, altri che non vedono l’ora perché per loro è più facile (forse troppo) collegare Berlusconi a tutta la politica italiana, anche quella odierna. L’Italia è il paese che ha negato un teorema d’acciaio, per il quale «anche quando milioni di persone credono a una cosa stupida questa cosa resta stupida» (Anatole France). Tutti i commentatori e osservatori politici si stanno esercitando a immaginare tutti gli scenari possibili, ma si sono dimenticati l’ovvio: che anche quando una sentenza è giusta, milioni di persone restano stupide.

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1 Comment

  1. Davide luglio 31, 2013 Reply

    Mi trovo molto d’accordo su quello che scrivi. Trovo solo una lieve inconsistenza in un passaggio.
    Se milioni di persone restano stupide a dispetto di una sentenza (e qui concordo) allora applicando la medesima equità diciamo “antirelativista” non si può dire che milioni di voti siano stati non meritati.

    Prova di ciò è che continua ad avere quei voti. Ossia continua ad avere confermata la fiducia di milioni di italiani, segno che QUESTO è il “politico” che quei milioni vogliono.
    Si può tirare in ballo la stupidità ed il raggiro delle masse solo per un limitato periodo di tempo; dopo 20 anni possiamo parlare “termodinamicamente”, lasciando da parte considerazioni sugli intricati meccanismi interni della psicologia delle masse, riconoscendo che non è il Forte, il più Intelligente o il più Virtuoso (in questo caso) che sopravvive, ma il più Adattabile. E Berlusconi calza la mentalità di quei milioni di persone come un guanto.

    Pertanto Berlusconi ha meritato quei voti e, parimenti, quei milioni di elettori (e persino quelli che hanno votato un’opposizione incapace) hanno meritato Berlusconi.

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