A Perugia si è scelta quale Perugia

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di Pepito Sbazzeguti

Quando crolla una roccaforte fa sempre rumore. Fa rumore oggi, che Perugia sia passata alla destra, come non accadeva da 68 anni. La tentazione di usare il capoluogo umbro come oggetto di analisi, o laboratorio di strategie politiche potrebbe esserci. Magari in un parallelo con la Livorno da oggi pentastellata. Ma no. Sarebbe semplice ridurre il discorso alla voglia di cambiamento, alla giusta alternanza democratica, al momento congiunturale (crisi e tagli) che penalizzano chi amministra città con problemi percepiti come pesanti, tradotti sempre in sicurezza economica, sicurezza sociale, pressione fiscale. In questo contesto, un figlio della vecchia politica come Wladimiro Boccali, ha semplicemente catalizzato tutto l’odio, il rancore e la frustrazione che erano disponibili. Indipendentemente da meriti e responsabilità reali, o ancora prima di scontare i propri peccati in termini di comunicazione, presenza e decisionismo.

C’è la crisi, e nei nostri bei borghi va in crisi anche la filiera del voto in cambio del servizio, per mancanza di fondi. La ridotta capacità di spesa dei sindaci, ha avuto spesso come effetto diretto il mancato rifornimento di quei canali di finanziamento e di foraggiamento che in passato manteneva strette le fila di interessi reciproci. Attenzione però a decretare la morte del clientelismo. Si tratta, temo, solo di rancore per interessi personali non (più) soddisfatti. Non ci stiamo redimendo. Stiamo ancora, probabilmente, sperando che cambiando lato ci torni in dietro qualcosa di più.

Nel risultato di Perugia, di interessante, c’è altro. Per cominciare, l’affermazione del sempre attuale fronte interno, questo sì emblema della capacità del centro sinistra di decimare le proprie fila come nemmeno le epidemie storiche dei secoli scorsi. La ricetta è semplice: una candidatura condivisa malamente; primarie improvvisate; un dialogo soffocato; una totale assenza di progetto per la città che dia l’illusione dell’ascolto reale, supponendo che esista ancora il voto di appartenenza. I voti controllati dalle strutture di partito, sempre meno sentite a livello territoriale, non ci sono più. Ci sono ancora invece le ritorsioni, i finti impegni, o chi sceglie piccole vittorie personali nel quadro di sconfitte plateali.

In secondo luogo, la non aderenza di Wladimiro Boccali al modello Renziano, per estetica, indole e pensiero. E i voti che 15 giorni fa hanno rimpolpato il 48,6% del PD alle Europee, sono semplicemente tornati da dove venivano, verso il volto che somiglia di più al modello vincente: giovanilista, alternativo, semplice da comprendere. C’è un voto che si sposta da destra al PD, come successo per alle ultime Europee, con Renzi a catalizzare voti. Che di sicuro piace alla destra ma mai quanto piace alla destra uno di destra. Che quando trova una faccia pulita, torna a casa. Anche perché il dato forse principale, è che ormai tutti cercano di somigliarsi. E se ci si somiglia tutti, se la differenza non sta più nella diversità di visione culturale, di portata ideale, di progetto a medio – lungo termine, ma solo che nella capacità di applicare nuovi codici del taglione, impiccagioni metaforiche e riformismi che hanno il sapore di restaurazioni in salsa nuova, alla fine tutto si riduce a un referendum sula persona in cui vince chi viene meglio negli autoscatti. Che questo sia in realtà un trionfo degli ultimi 25 anni di politica italiana, poi, resta un sospetto fondato.

L’ultimo claim della campagna elettorale del nuovo sindaco Andrea Romizi, recitava: scegli tu quale Perugia. E il brivido che corre lungo la schiena non è causato da presunti e fantomatici spauracchi di appartenenza partitica o da vecchi echi ideologici, quanto dall’assenza del verbo che potrebbe dare contenuto a questi cinque anni.
Di aggettivi, programmi e visione, parleremo un’altra volta.

 

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