Cracco dallo sguardo languido

di Roberto Morelli

Parlando di “italiotizzazione” di un format a breve inizierà la terza stagione di Masterchef. Masterchef Italia, s’intende. Niente, in questo Paese non ce la possiamo proprio fare: che si tratti di ballo, canto o cucina, che sia un programma importato dall’estero o nostrano, c’è sempre quella pazza voglia di seppellire il telespettatore sotto una coltre di nonnismo, saccenza e completa mancanza di rispetto per il prossimo.

La cosa balza ancor di più all’occhio per chi – come il sottoscritto – ha iniziato con la versione americana. È incredibile e grottesco che nel 2013 l’archetipo televisivo del rapporto gerarchico fra due persone (lo chef stellato che insegna al novellino) sia ancora un pastrocchio provincialotto che va dal colonnello Hartman al Marchese del Grillo passando per il megadirettore galattico di fantozziana memoria. Chef negli Stati Uniti, chef-attori-aguzzini-quantosiamosexy nella versione italiana. Maestri che valutano con severità gli allievi oltreoceano lasciano il posto, in Italia, a un trittico di sergenti che godono nel vedere la recluta di turno umiliata davanti al resto del plotone.

Barbieri, l’omologo italiano di Ramsay, e le sue assurde (e irrealistiche) pretese. Cracco, che ripete all’infinito lo stesso stucchevole sguardo simil-sexy-languido godendo fieramente della sua stessa macchietta. Nel caso di Bastianich poi l’effetto è straniante: passato l’Oceano si assiste a un vero e proprio cambio di personalità. Tanto cauto nei modi, equilibrato e raramente sopra le righe nella versione americana (vedergli buttare per aria qualcosa è raro), quanto maleducato e puntualmente fuori luogo nel Masterchef nostrano. Superfluo dire che qui c’è lo zampino degli autori del programma e la complicità degli “attori” (concorrenti e giudici) dello show.

Ogni prodotto va adattato al mercato a cui è destinato e proprio l’osservare come è stato snaturato il format americano per venire incontro ai telespettatori dello Stivale è davvero un’esperienza sconfortante. Come siamo passati dalla dolcezza della Sora Lella e della sua trippa a nutrirci dell’umiliazione e della prostrazione di una persona? Davvero non lo so, ma mi fa una gran tristezza. L’ennesima riproposizione in salsa moderna e borghese (quindi interiormente accettabile) di un’esecuzione sulla pubblica piazza: tutti lì, col telecomando in mano, a guardare il condannato che si trascina sul patibolo; la bava alla bocca non c’entra nulla col cibo. Uno spettacolo così non poteva che essere un successo, c’avrei scommesso il braccio destro.

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  1. Andrea maggio 12, 2013 Reply

    capisco che l’osservazione distratta possa essere utile per conservare pregiudizi a cui si è affezionati. tuttavia una maggiore applicazione, prima di scrivere pezzi, può renderli più utili a capire ciò di cui si parla. In questo caso, sembra che l’autore si sia attentamente limitato a guardare qualche trailer di masterchef USA e le imitazioni di Crozza (e spero per lui che sia così, ché se non lo fosse i limiti non sarebbero solo culturali).
    Io mi sono sciroppato le due serie di masterchef in Italia, e le due di masterchef USA (la prima in replica, la seconda in presa diretta), negli USA. e i prodotti erano, da un punto di vista della scrittura, identici. infatti, quando qui si accenna al fatto che ai giudici italiani sono state attribuite le parti della versione di maggior successo del programma, si coglie un elemento che balza all’occhio dello spettatore, anche se si contraddice tutto il resto del pezzo, visto che effettivamente gli atteggiamenti dei tre conduttori sono studiati come calco di quelli di Bastianich, Ramsay ed Elliot. A ciò si aggiunge il fatto che le prove, e persino le scenette per l’attribuzione del grembiule o l’esclusione, sono riprese dal modello americano in modo abbastanza pedissequo.
    E infatti, se si segue il programma, si vede che bastianich fa più o meno le stesse cose, Ramsay mette molta più pressione ed è decisamente più sboccato del suo omologo italiano (che non è Barbieri, ma Cracco), e il terzo è più quieto e attento ai dettagli professionali.
    Quello che cambia, e che forse a un osservatore superficiale può apparire una differenza di scrittura, è la qualità dei concorrenti, o quantomeno la qualità che è stata offerta ai due pubblici a cui i programmi sono rivolti tenendo conto delle ragionevoli aspettative. Negli USA un hobby è una cosa seria, e non è concepibile che l’eccellenza dei cuochi amatoriali non sappia cucinare le interiora o cuocere sotto vuoto. in Italia, invece, è abbastanza credibile che si ritenga “cuoco amatoriale” chi sa fare un ragù non rivoltante, e infatti molti dei concorrenti selezionati erano persone che sapevano far bene un piatto e basta, e poi non erano in grado di usare cotture diverse da quelle più immediate, al punto che per replicare la scena, già avvenuta negli USA, di un pressure test senza eliminati a causa dell’eccellenza di tutti i piatti, qui si è dovuto proporre ai concorrenti la cottura di un piatto di pasta, dall’altra parte quella di un soufflé al formaggio, ovvero l’applicazione di una complessa tecnica di pasticceria alla cucina “salata”! Da ciò deriva,a cascata, la maggiore frequenza di piatti scadenti anche nelle fasi più avanzate della competizione.

    • Author
      Roberto Morelli maggio 12, 2013 Reply

      Non ho guardato i trailer della versione americana. Ho guardato (in lingua originale) le puntate finali della prima serie e tutta la seconda serie.
      L’aspetto che mi premeva mettere in luce col pezzo è che in quella a stelle e strisce, per quanto dura ed estremamente competitiva, il focus è rimasto sui concorrenti e sulle loro storie.
      Il dispiacere umano che ho provato all’uscita dei concorrenti nelle fasi finali dello show americano non l’ho mai provato nella versione italiana. Inoltre, nel complesso, confermo che la versione italiana mi sembra artatamente cattiva e nonnista. Ramsay è esigente, lì dove Cracco cede alla sbruffoneria tipica dell’ “io sono io, e voi…”.
      Insomma, a differenza di quel che pensa lei, i tre cuochi nostrani non mi sembrano il calco di quelli USA (e qui sta l’italianizzazione dello show). Sarebbe interessante vedere il comportamento dei cuochi nelle altre versioni (Israele, India e così via) proprio per capire quanto lo show si adatta al paese dove va in onda.
      Sulla qualità dei concorrenti (talvolta imbarazzanti nella versione italiana) sono d’accordo con lei, chiediamoci se tale mediocrità è anch’essa frutto di una deliberata scelta (immedesimazione dello spettatore che guarda e pensa: “io sarei meglio, questo lo so fare anche io”).

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