Senza titolo-1

di Alessio Dell’Anna

CORSI di FORMAZIONE

Quelli della mia università non me lo dicono, ma gli servo da cavia. Altrimenti non si spiegherebbe perché continuino a mandarmi a questi corsi. Orientamento per l’inserimento nel mercato del lavoro, dicono. Io non faccio domande, loro mi dicono vai e io, come Fantozzi, obbedisco. Si sa mai che salti fuori qualcosa. In fondo di questi tempi non si butta via niente se si può infilare nel curriculum, dovesse anche essere un corso per sbattitori di uova patrocinato da Giorgio Mastrota.

Ma questi corsi saranno davvero utili poi? Che li segua la Regione, la Provincia o altri enti solitamente le questioni affrontate non sono degne da impegnare intere giornate. Anche perché ci si rivolge a persone che in qualche modo dovrebbero già essere coinvolte nel mondo del lavoro, e, si spera, non hanno bisogno di sapere come si scrive un curriculum o una lettera di presentazione a quasi trent’anni d’età.

Dopo un po’ ho capito che la cosa interessante sta in tutt’altra cosa: fornisce, attraverso chi vi partecipa, uno spaccato di quella che un giorno andrà ad essere la nostra società, ed è per questo che ormai mi ci avvicino come se dovessi soddisfare una sorta di morboso interesse socio-antropologico.

Solitamente arrivo un po’ in ritardo per lanciare un segnale: non mi disturbate, voglio interagire il meno possibile e limitarmi a una scrupolosa osservazione.

Gli incontri si aprono sistematicamente con un dramma umano dal sapore esistenziale: quello delle autopresentazioni. Brevi e micidiali esposizioni che danno subito un’idea di come sarà composto il gruppo: la massa dei presenti inizia a dipanarsi, e prende forma il catalogo zoologico delle bestie che ti accompagneranno per il resto della giornata.

I CASI UMANI

I casi umani sono generalmente poveri diavoli che a ventisette, vent’otto anni non ancora riusciti a trovare uno straccio di impiego decente. Attenzione, non parlo di lavori a tempo interminato o di chissà quali contratti, parlo di semplici stage, o lavori, che coincidano almeno minimamente con le loro già tiepide aspirazioni. La loro speranza è che a questo tipo di incontri venga distribuita una qualche formula magica per sollevare la loro desolante condizione esistenziale.
Non sanno bene chi sono, cosa vogliono, e affidano i loro destini a qualche decina di curricula spediti a caso sperando in una qualche intercessione divina, la cui vana attesa li ha ormai trasformati in relitti umani. Insicuri, inconsapevoli, sono i bersagli migliori per agenzie assicurative che propongono loro fastosi contratti a provvigione, e alla fine si vedono costretti a far sottoscrivere le peggio polizze ad amici e parenti pur di  conservare un posto che inevitabilmente non manterranno.
E così si ritrovano a vagare senza fede in mezzo alla società, schiacciati dalla loro autoconvinzione di essere dei perdenti.
Sono i classici ultimi della classe, quelli sempre indietro, che magari ti fanno un po’ arrabbiare nel loro abbandono totale alla sconforto, ma nei confronti del cui candore umano alla fine provi anche una certa tenerezza. Magari rischi di diventarci pure amico, nel classico rapporto fraterno che si innesca nella condivisione delle proprie disgrazie; l’amicizia dei pavidi e degli sciagurati. Non parlano mai se non interpellati, e nei rari casi in cui lo fanno sparano solo vaccate enormi. I relatori nei loro confronti hanno lo stesso atteggiamento di bonaria accondiscendenza che si ha nei confronti di un bambino piccolo, quando ti chiede di andare al mare il primo giorno di asilo, appena finite le vacanze. È la fiducia che si da ai disperati, nulla più, ma senza di loro il fascino di questi corsi non esisterebbe.

I LEADER

I leader sono creature totalmente opposte: anziché tenerezza suscitano subito una acerrima antipatia. A differenza dei casi umani sono consapevoli fin dall’inizio dell’inutilità di questi corsi, ma, una volta che ci finiscono dentro, si dibattono come delle anguille per cercare di farsi conoscere.
Il loro comportamento tende a incentrare costantemente l’attenzione su di sé attraverso una condivisione esasperata di esperienze personali quasi sempre non attinenti: prendono sempre la parola a sproposito e interrompono sempre i relatori quasi volessero condurre i corsi al posto loro. Questa loro estroversione esasperata li conduce curiosamente ad un’ammirazione incondizionata da parte di tutta la schiera di casi umani, che vedono in loro un modello vincente e da imitare.
Sono in realtà prevaricatori sociali, fedeli a un’etichetta marcia da trent’anni, figli dell’antimoralismo e di qualche derivazione perversa dell’edonismo reaganiano. Quando tocca a me presentarmi provo subito a smascherarli, facendo riferimenti a qualcuno di loro che ha parlato prima di me in termini vagamente clowneschi. Dopodiché mi taccio e lascio che inizi lo show senza dare più contributi.
Questo mio comportamento li lascia interdetti e pensierosi, e allora passano al piano B: tentano di socializzare durante la pausa caffè per capire se posso essere uno di loro.  Se la relatrice è donna, e magari carina, un modo per intavolare un rapporto sono le classiche allusione sessuali maschili e maschiliste. È il momento giusto per andare in bagno a fare quella cosa che stai aspettando dalle 9.15.

Arrivata la pausa pranzo è inevitabile che si inneschi fra tutti una qualche dinamica relazionale. Chi tira fuori dallo zainetto il panino, chi la barretta energetica, e chi deve uscire a prendersi qualcosa. I famosi leader sono quelli che si prendono il gravoso compito di decidere dove mangiare, sebbene vogliano far notare a tutti i costi di assumere con distacco la scelta, per dare dimostrazione di non essere interessati al cibo e poter andare avanti di caffè fino alla fine. Dei superuomini. Io che superuomo non sono saccheggio la prima focacceria disponibile e mi strafogo infischiandomene della buona educazione. A stomaco pieno è tutto più sopportabile e bello.

Quello che non è bello è la sessione pomeridiana, quando i morsi del sonno iniziano a prendere piede. In qualche modo però si fa una tirata per tutto il pomeriggio e si arriva alla fine. Un momento accolto, questa volta sì, con una sensazione comune a tutti: il sollievo.

Si prende le nostre cartelline colorate e piene di bei documentini, ci si saluta, e si va a prendere il tram o la metropolitana. Sgomberata la mente dalle parole senza senso, dagli interventi sconclusionati dei partecipanti, è il momento delle riflessioni vere: è questa l’Italia che ci aspetta? Pochi leader opportunisti e una massa di casi umani disorientati a seguirli incondizionatamente? Non è uno panorama molto diverso da quello attuale. Eppure la cosa confortante è che ci sono molti ragazzi lì fuori che un percorso se lo stanno creando davvero, corsi o non corsi. Persone con idee, titoli di studio e che magari si sobbarcano di stage su stage perché non vogliono darsi per vinti a chi su di loro non vuole puntare neanche una lira ( ne aveva parlato Valentina Parasecolo qualche settimana fa). Sono  ragazzi che un giorno meritano, e glielo auguriamo, di prendere in mano questo Paese. Il fatto è che non sarà una categoria che dovrà fare i conti solo contro i vecchi, ma anche contro i suoi stessi coetanei: quelli che si accontentano, o peggio aspirano, a un futuro anonimo, quelli che giocano già alla prevaricazione, o che seguono ciecamente le direttive di qualche corso fatto a caso senza entusiasmo nè fantasia.

Quella che ci aspetta non sarà solo una battaglia intergenerazionale, ma soprattutto intragenerazionale: sarà finalmente la volta buona che riusciremo a vincerla?

Commenti

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7 Comments

  1. saretta luglio 31, 2012 Reply

    grande articolo, vita vissuta… a me è capitato anche di peggio comunque

  2. Roberto Morelli luglio 31, 2012 Reply

    Per quel che mi riguarda – dal basso della mia ancora acerba esperienza professionale – penso che il problema più grave per under 30 è il “frastornamento”.
    Che ci sia una scollatura totale tra ambito accademico – università che sono solo una sterile sequela di esamini poco difficili, senza alcuno stimolo per lo studente, basta vedere quanto ancora sia radicata la cultura del “bisogna avere il pezzo di carta” – è una cosa risaputa, quel che è sottovalutato è il danno che decenni di italiana mediocrità totale hanno provocato alla cultura professionale dei giovani.

    Non è affatto cosa rara trovare allora venticinquenni che non sanno compilare uno straccio di curriculum (o lo fanno “europeo”, col risultato che solo per diploma e laurea sono già alla quarta pagina), non hanno idea di come presentarsi le prime volte in un contesto professionale, dove d’altronde non saprebbero come comportarsi senza generare imbarazzi e situazioni buffe.
    Un attimo, lungi da me volermi auto-proclamare “esperto” dell’argomento, ma sempre più spesso incontri persone che sono, professionalmente e nel senso etimologico del termine, degli imbecilli.

    Altro capitolo è poi la passività con la quale affrontano il mercato del lavoro. La parte “attiva” si limita il più delle volte (come descritto alla perfezione nel pezzo) a mandare qualche decina di curriculum a cazzo di cane. Curriculum tutti uguali, non accompagnati da nulla, perfino – anche questo ho veduto – coi destinatari infilati tutti nel campo CC (e non BCC) dell’email.
    Oltre questa fatica c’è una rassegnazione tanto istantanea quanto inquietante. Abituati al supermercato nei consumi, abituati al supermercato nei sentimenti (e nell’amore), idem in famiglia, pretendono il supermercato anche nel rapporto col mercato.

    Quando ci si accorge che la scatola di cereali è su uno scaffale troppo alto e richiede sforzi per afferrarla, allora via col broncio e largo alle lamentele. Con le lamentele infatti voglio chiudere. Perché il rito che accade sempre, con precisione MATEMATICA, è la lamentela di gruppo. Ci si incontra la sera, birretta in mano, e dal cazzeggio si finisce a parlare di lavoro. Allora è tutto un “non c’è lavoro”, “ormai danno solo stage gratuiti”, “è inutile, ho cercato, non ho speranze”, “la laurea non mi è servita a niente” (che è l’unica cosa autentica detta in queste serate) e così via… Nessuno ammetterà mai l’oceano di pigrizia che si cela dietro questo sottile paravento finto fatalista, l’importante è fare le pecore petulanti.

    Epilogo. Tutti possono fallire nei propri obiettivi professionali. Se dovesse accadere, però, bisogna uscirne a testa altissima, senza una goccia di energia in corpo, avendo dato tutto il possibile. È solo così che, qualunque sia il futuro, dovesse anche essere il bancone di un supermercato, sarà possibile affronterlo serenamente e senza rimpianti, puntando magari su altre (e forse molto più importanti) soddisfazioni personali.

    • il Bureau luglio 31, 2012 Reply

      Sì, sì, concordo con te Robi, però facciamo attenzione a non rischiare di additare sempre i giovani. Che non saranno le vittime, ma non sono neanche i carnefici.

      Gli stage non retribuiti e tutto il resto ci sono eccome. Sono in una quantità inaccettabile, in un sistema arretrato, fermo, vecchio e questo sfruttamento allo stato brado è fiaccante per tutti, anche per il più entusiasta.

      Valentina

      • Roberto Morelli luglio 31, 2012 Reply

        Ma infatti prima di ogni mio “giovani” ci andrebbe un “alcuni”. La mia è una generalizzazione, possiede per definizione un grando di approssimazione. Non ho parlato di chi sta a monte perché abbiamo già detto tutto qui: http://ilbureau.com/vecchi-non-fate-gli-arroganti-e-possibilmente-chiedete-scusa/

        Non nego assolutamente le storture allucinanti del mercato de lavoro in Italia (basta vedere gli stipendi delle tipologie di contratto atipiche), ma sento comunque di poter rimproverare a chi ha la nostra età una pigrizia di fondo che nasce dall’idea, inconcepibile, che muovere appena il culo sia “tutto quel che si poteva fare”. “Tutto il possibile”, per un under 30, dovrebbe essere un’eruzione vulcanica, non un peto.

        • Alessio Dell'Anna luglio 31, 2012 Reply

          “…c’è una rassegnazione tanto istantanea quanto inquietante. Abituati al supermercato nei consumi, abituati al supermercato nei sentimenti (e nell’amore), idem in famiglia, pretendono il supermercato anche nel rapporto col mercato.”
          Quanto hai ragione Roby.

  3. Maria Chiara agosto 8, 2012 Reply

    Complimenti. Pungente, ironico, veritiero. Provoca risate iniziali che lasciano tuttavia un punto di interrogativo alla fine. L’articolo è scritto così bene che pare di vedere “il catalogo zoologico”, soprattutto se si è partecipato a queste giornate… socialmente istruttive.
    A volte nella crisi serve sdrammatizzare la propria condizione precaria.
    Complimenti ancora e grazie per cinque minuti di leggerezza.

    • Alessio Dell'Anna agosto 9, 2012 Reply

      Grazie a te Maria Chiara, per i complimenti e per l’attenzione.

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